Vassallo Laura, Rio Valentina


La Scuola di Francoforte


Dall'alto: Marcuse, Adorno con Horkheimer Per Scuola di Francoforte si intende un indirizzo di pensiero costituitosi, nella Germania degli anni Trenta, ad opera di un gruppo di filosofi riuniti attorno al "Istitut fur Sozialforschung" (Istituto per la ricerca sociale) (1) diretto da M. Horkheimer. Sullo sfondo della crisi del marxismo, dei processi di industrializzazione e burocratizazione delle società occidentali e delle minacce totalitarie rappresentate dai ragimi fascisti e dallo stalinismo, gli esponenti della Scuola di Francoforte sviluppano un coraggioso e polemico programma di ricerca che culmina nella definizione della cosiddetta "teoria critica"della società, nella quale convergono sia temi di matrice filosofica (Hegel, Nietzsche, il giovane Marx) sia temi psicoanalitici, con particolare interesse per la critica freudiana della civiltà.
Sul piano filosofico la scuola di Francoforte è sostanzialmente una teoria critica della società presente, alla luce dell'ideale rivoluzionario di un'umanità futura libera e disalienata. Come tale, la scuola di Francoforte intende porsi come una coscienza critica e negativa nei confronti dell'esistente, teso a smascherarne le contraddizioni profonde e nascoste mediante un modello utopico in grado di fungere da pungolo rivoluzionario per un mutamento radicale della società.
Viene impostato un discorso dialettico e totalizzante intorno alla società. Dialettico perchè evidenzia le contraddizioni intrinseche. Totalizzante perchè invece di fermarsi alla constatazione analitica e statistica di ciò che essa è, intende metterla in discussione nella sua globalità.
Dal punto di vista storico sociale, il progetto filosofico della scuola di Francoforte si definisce in relazione a tre coordinate di fondo:
  • l'avvento del fascismo e del nazismo,
  • l'affermazione del comunismo sovietico
  • il trionfo della società tecnologica.
Soprattutto con M. Horkheimer e T. Adorno, la Scuola è stata uno dei punti di riferimento del dibattito critico degli ultimi cinquant'anni. Attorno a essa gravitano figure centrali della cultura tedesca di questo secolo: W. Benjamin, H. Marcuse, E. Fromm e, qualche decenni più tardi, J. Habermas.
Con la vittoria del nazismo in Germania, la Scuola e i suoi maggiori esponenti si trasferirono prima a Parigi, poi negli Stati Uniti, dove nel 1936 uscì Studien uber Autoritat und Familie, Studi su autorità e famiglia , volume collettivo, frutto di un'ampia ricerca. Dall'esilio proseguì la ricognizione critica, e talvolta "apocalittica", sui destini delle società industriali, influenzando, fra l'altro, la cultura rivoluzionaria della fine degli anni Sessanta.


Herbert Marcuse (1898-1979)


Herbert Marcuse H. Marcuse dagli anni '20 fece parte dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, passato alla storia come "Scuola di Francoforte".
Prima e durante la seconda guerra mondiale la ricerca si diresse ad analizzare
  • la famiglia come luogo di formazione del consenso sociale
  • l'autorità implicita e camuffata negli stati borghesi-liberali
  • il fenomeno dell' autoritarismo e dell' antisemitismo
l'impostazione era fortemente teorica e vicina al marxismo.
Marcuse personalmente mise in luce, nei suoi lavori, l'aspetto repressivo della società tecnologica avanzata, che rende servo e livella l'individuo nonostante appaia tollerante ed indulgente nei confronti del singolo. Al suo pensiero si sono richiamati i movimenti di contestazione studentesca giovanile degli anni sessanta.
I principali temi di riflessione di Marcuse sono la polemica contro la società repressiva e la difesa dell'individuo; infatti in"Eros e civiltà" Marcuse sostiene, con Freud, che la civiltà ha potuto svilupparsi in virtù della repressione degli istinti, per questo la società è riuscita a produrre e a mantenere l'ordine impedendo la libera soddisfazione delle pulsioni dell'individuo.
A differenza di Freud, che riteneva la repressione un fatto inevitabile nella società, Marcuse ritiene repressiva la società di classe. Freud, secondo Marcuse, non avrebbe distinto fra rimozione di base (controllo degli istinti richiesto dalla vita sociale) e un "surplus" di rimozione richiesto dalla forma storica di civiltà delineatasi in occidente. Infatti quest'ultima è stata completamente asservita a ciò che Marcuse chiama "principio della prestazione" ossia alla direttiva di impiegare tutte le energie psicofisiche dell'individuo per scopi produttivi e lavorativi. Il principio di prestazione riducendo il singolo ad una entità per produrre, ha represso le richieste umane di felicità e di piacere. In questo modo il fine della vita è divenuto il lavoro e la fatica visti come la giusta punizione per qualche colpa commessa. Tuttavia la civiltà della prestazione non ha potuto far tacere completamente gli impulsi verso il piacere; secondo Marcuse l'arte da sempre ha espresso il desiderio umano di libertà, personificando essa stessa l'istanza della creatività non allineata.
La dimensione estetica per Marcuse ha trovato in Orfeo e in Narciso le sue figure più caratteristiche. Infatti mentre Prometeo è simbolo della fatica e della produttività, Orfeo è "la voce che non comanda, ma canta"(2) intuendo nel mondo un ordine più alto, un ordine senza repressione, così come la vita di Narciso è una vita di bellezza e la sua esistenza è contemplazione. Appurato che l'ideale della storia è quello di far si che i corpi degli uomini possano tornare ad essere organi di piacere e non di fatica, non rimane che chiedersi se esistono delle possibilità atte a garantire una civiltà non repressiva.
In uno scritto successivo "L'uomo a una dimensione", Marcuse riprende la critica della società tecnologica avanzata. L'uomo alienato della società attuale è colui che non scorge più il distacco tra ciò che è e ciò che deve essere; di conseguenza per lui non ci sono altri possibili modi di esistere al di fuori della società in cui vive. Il sistema tecnologico fa apparire razionale ciò che è irrazionale, il sistema si ammanta di forme democratiche "illusorie" poichè le decisioni sono sempre nelle mani dei pochi. La società tecnologica non riesce a risolvere una contraddizione importante: tra il potenziale possesso dei mezzi e l'indirizzo conservatore di una politica che nega a taluni gruppi l'appagamento dei bisogni primari.
Marcuse ha riflettuto molto sui possibili soggetti in grado di distruggere il sistema, crede che le sorti della rivoluzione mondiale sono affidate ad un vasto schieramento di forze di cui fanno parte gruppi di dissenso e gruppi di "dannati del terzo mondo" . L'ultimo Marcuse non ha perduto la speranza in "una rivoluzione finora soffocata in tutte le precedenti rivoluzioni storiche" (3). Speranza di cui l'arte rappresenterebbe l'invincibile ed "utopistico" anelito.

Theodor Adorno


Theodor Adorno

Adorno fonda con Marcuse ed Horkeimer la Scuola di Francoforte. Attraverso la psicanalisi e il Marxismo viene analizzato il comportamento del singolo individuo nella società contemporanea di massa.
Nella "Dialettica dell'illuminismo" (1947) che Adorno scrisse in collaborazione con Horkheimer, è criticata la razionalità illuminista, da cui si sarebbe generato il totalitarismo fascista.
Un altro importante bersaglio della critica di Adorno fu la filosofia positivistica. Molti studi di Adorno sono stati dedicati all'analisi dell'autoritarismo latente nella società statunitense e alla predisposizione al razzismo; una volta compreso l'intento di fondo della dialettica negativa, non è più una difficoltà capire il modo in cui Adorno regolò i conti non solo con le correnti della filosofia moderna e contemporanea ma anche con le concezioni politiche, i movimenti artistici e i mutamenti sociali della nostra epoca.
Uno dei temi principali del pensiero di Adorno è infatti quello della dialettica. Adorno difende la funzione primaria della dialettica come strumento di comprensione del reale, la dialettica a cui intende rifarsi l'autore non é quella dello Hegel sistematico, ossia la dialettica della sintesi e della conciliazione, bensì una dialettica negativa, che mettendo in discussione l'identità di ragione e di realtà svela le disarmonie e le contraddizioni che caratterizzano il mondo in cui viviamo. Adorno ritiene infatti che dopo Auschwitz gran parte delle tradizionali visioni del mondo siano divenute semplice spazzatura; i filosofi anzichè criticare la realtà si sono dedicati ad elogiarla,sforzandosi di darne una spiegazione coerente e globale. Così facendo però essi hanno razionalizzato l'irrazionale, unificato il diverso, armonizzato il disarmonico mediante un'operazione mistificatrice, e culminata, con l'Hegelismo, in un'illusoria fagocitazione dell'oggetto nel soggetto. La dialettica negativa si trasforma nelle mani di Adorno in una critica della cultura, o meglio, in una "teoria critica della società". Adorno ed Horkeimer ci presentano il loro pensiero nell'opera: "Dialettica dell' illuminismo" il quale si delinea come analisi critica della società tecnologica contemporanea; con l'illuminismo i due autori non intendono solo quel movimento di pensiero che ha caratterizzato l'epoca dei lumi; credono piuttosto ad un tragitto della ragione che, partendo già da Senofane, ha inteso razionalizzare il mondo rendendolo manipolabile e soggiogabile da parte dell'uomo. L'illuminismo va incontro all'autodistruzione e questo accade perchè esso è rimasto paralizzato dalla paura della verità. Nell'illuminismo ha prevalso l'idea che il sapere è tecnica piuttosto che critica, e la paura di allontanarsi dai fatti fa tutt'uno con la paura della deviazione sociale. Si è persa così la fiducia nella "ragione oggettiva", ciò che importa non è la verità delle teorie, ma la loro funzionalità: funzionalità in vista di fini sui quali la ragione ha perso ogni diritto.
La ragione è vista come pura ragione strumentale, essa è incapace di mettere in discussione scopi o finalità su cui gli uomini orientano la propria vita, è ragione strumentale perchè può unicamente individuare e perfezionare gli strumenti adeguati al raggiungimento di fini stabiliti e controllati dal "sistema".


"La Gaia Scienza":Confronto tra Marcuse e Nietzsche


Secondo Marcuse la scienza ha il compito di liberare l'uomo dalle catene della fatica, infatti afferma:
"tutto il progresso tecnico, la conquista della natura, la razionalizzazione dell'uomo e della società non hanno eliminato nè possono eliminare la necessità del lavoro alienato, del lavoro meccanico, spiacevole, tale da non rappresentare una autorealizzazione individuale. Tuttavia la stessa alienazione progressiva aumenta il potenziale di libertà: quanto più l'individuo rimane esterno al lavoro necessario, tanto meno è coinvolto nel regno della necessità."
(4)
Ciò vuol dire che il progresso tecnologico ha generato le premesse per una liberazione della società dall'obbligo del lavoro per una dilatazione del tempo libero, per un capovolgimento del rapporto tra tempo libero e tempo assorbito dal lavoro socialmente necessario.
Per Marcuse la "Gaia scienza" consiste nell'arte di utilizzare la ricchezza sociale per modellare il mondo dell'uomo secondo i suoi istinti di vita, attraverso una lotta concertata contro gli agenti di morte. Egli inoltre sostiene che questa visione ottimistica si basava sull'ipotesi che non predominassero più i motivi che in passato hanno reso accettabile il dominio dell'uomo sull'uomo, che la penuria e la necessità del lavoro come fatica venissero ormai mantenuti in essere "artificialmente", allo scopo di preservare il sistema di dominio.
NietzchePer Nietzsche invece la scienza assume un'altro valore, essa è "liberata" dalle catene della metafisica e dai dogmi. Questa scienza, a causa della morte di Dio "non deve rendere conto a nessuno." (5) Contro la mentalità scientifica e contro il positivismo, Nietzsche afferma che la scienza non costituisce un sapere oggettivo privo di presupposti, in quanto sgorga anch'essa da determinati presupposti ed atteggiamenti extra scientifici: anche lo scienziato è visto come una sorta di asceta affascinato da un mondo di perfezione e semplicità ben diverso da quello caotico dell'esperienza concreta, ossia un mondo che ha tutti i caratteri rassicuranti e fittizi della morale, della metafisica e della religione. La domanda: perchè scienza? riconduce al problema morale: a quale fine esiste in genere una morale, se vita, natura e storia sono "immorali"?(6)
Non c'è dubbio: l'uomo verace, in quel temerario e ultimo significato con cui la fede nella scienza lo presuppone, afferma con ciò un mondo diverso da quello della vita, della natura e della storia. Con questo Nietzsche vuol farci capire che: " è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza."(7) (La Gaia scienza)


Erich Fromm (1900/1980)


Erich Fromm

Secondo la visione di Fromm l'uomo nasce quando: "viene strappato all'originaria unione con la natura che caratterizza l'esistenza animale"(8).
Ma nel momento in cui si verifica questo evento, l'uomo è fondamentalmente solo. L 'uomo però, per evitare questo isolamento, tenta diverse vie:
  1. si sottomette ad una autorità sia questa una persona, un governo, un'istituzione, una divinità
  2. oppure tenta la soluzione opposta cercando di dominare gli altri.
Ma sia il masochismo (tentativo di sottomissione) sia il sadismo (tentativo di dominio) costituiscono, secondo Fromm, forme patologiche di rapporto umano.
Tuttavia il fallimento di questi modi di rapportarci agli altri è importante per farci capire che la forma di relazione sana è quella produttiva, è cioè l'amore: esso "permette ad un uomo di conservare la sua libertà ed integrità, pur essendo nello stesso tempo unito ai suoi simili".(9)
Per Fromm comunque, il distacco dell'uomo dalla natura sia fisica che sociale, non è cosa facile; esso è un distacco doloroso, ed è facile riscontrare tentativi di negarlo tramite "un'attaccamento incestuoso" al proprio gruppo o all'autorità costituita, che funge da guida e protegge l'uomo dai rischi della libertà e dal peso della responsabilità.
Per Fromm la realtà è che l'uomo che si distacca dal mondo fisico e sociale, ovvero l'uomo che diventa libero, responsabile delle proprie azioni, delle proprie scelte e dei propri pensieri, non sempre riesce ad accettare il peso della libertà e cede così al"conformismo gregario"ubbidendo ciecamente a norme stabilite, aggregandosi ad un gruppo. E, in questo modo, l'uomo che va alla ricerca della sua identità perde la sua salute mentale, caratterizzata per esempio dalla capacità di amare e di creare, dalla capacità di afferrare la realtà fuori e dentro noi stessi, caratterizzata cioè dallo sviluppo dell'obbiettività e della ragione.
Inoltre Fromm afferma che: "la storia dell'uomo è cominciata con un atto di disobbedienza, ed è tutt'altro che improbabile che si concluda con un atto di obbedienza"(10): infatti l' atto di disobbedienza di Adamo ed Eva ha scisso il loro legame originario con la natura e li ha resi individui, e il "peccato originale", lungi dal corrompere l'uomo, lo ha reso anzi libero, dando inizio alla sua storia.
Per Fromm, come ci insegna il cammino storico dell'uomo, "l'uomo ha continuato ad evolversi mediante atti di disubbidienza" (11), di conseguenza una persona diventa libera e cresce solo mediante questi atti. La capacità di disubbidire è pertanto la condizione della libertà e dell'autonomia.
Fromm ha dedicato all'analisi della crisi della società contemporanea uno dei suoi libri più letti, "Avere o Essere?"(1976) dove esamina le due basilari modalità di esistenza: la modalità dell'avere e la modalità dell'essere. Per la prima modalità si dice che l'essenza vera dell'essere è l'avere, per cui "se uno non ha nulla, non è nulla"(12). Ed è in base a questa concezione che i consumatori moderni etichettano se stessi con la seguente espressione: io sono = ciò che ho e ciò che consumo.
Di fronte a questa modalità di esistenza individuale e sociale, Fromm richiama sia Gesù, per il quale nulla giova all'uomo l'avere guadagnato il mondo e poi perdere se stesso, sia Marx, quando afferma che: "il lusso è un vizio esattamente come la povertà, e dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non già di avere molto" (13).
Riguardo a questo, Fromm precisa di riferirsi al "vero Marx", l'umanista radicale, non "alla sua volgare contraffazione costituita dal comunismo sovietico"(14).
Se quindi per la modalità dell'avere, un uomo è ciò che ha e ciò che consuma, i prerequisiti della modalità dell'essere sono: l'indipendenza, la libertà e la presenza della ragione critica.
La caratteristica fondamentale della modalità dell'essere consiste nell'"essere attivo", inteso nel senso di attività interna, di uso produttivo dei nostri poteri umani. Per Fromm essere attivi significa dare espressione alle proprie facoltà e talenti, alla molteplicità di doti che ogni essere umano possiede in vario grado, significa crescere, espandersi, amare. Fromm individua nella città dell'essere la città dell'uomo nuovo, la cui struttura caratteriale possiederà "la disponibilità a rinunciare a tutte le forme di avere, per essere senza residui"(15).


Max Horkheimer (1895/1973)


Il tema centrale del pensiero di Horkheimer è da ricercarsi nel concetto di razionalità che sta alla base del mondo moderno e della civiltà industriale su cui esso si regge. Egli fa una distinzione tra ragione oggettiva e ragione soggettiva; la prima consiste nel mettere in luce una ragione universale in grado di fungere da sostanza della realtà e dal criterio del conoscere e dell'agire, la seconda è quella che si rifiuta in generale di valutare i fini, limitandosi a determinare l'efficienza dei mezzi.
Max HorkheimerLa ragione soggettiva è la ragione stessa della civiltà industriale, ovvero di un tipo di organizzazione sociale che perseguendo il dominio della natura e degli uomini risolve la razionalità nella funzionalità, in modo tale da creare un uomo asservito alle esigenze produttive. Questo, è un uomo che non si interroga mai sui fini ultimi della società ma che si limita alla semplice riflessione tecnica sui mezzi atti ad astendere il potere dell'industria e quindi del capitalismo.
Questi concetti fondamentali stanno alla base dell'opera chiave della scuola di Francoforte: "Dialettica dell'illuminismo", scritta da Horkheimer e Adorno(1947).
Con il termine illuminismo i due autori non intendono solamente il movimento filosofico dell'età dei lumi, ma tutto il complesso di atteggiamenti che ha perseguito l'ideale di razionalizzazione del mondo teso a renderlo soggiogabile da parte dell'uomo.
Secondo Horkeimer ed Adorno, l'illuminismo e l'intera civiltà occidentale, risultano segnati da un interna dialettica autodistruttiva, poichè la pretesa di aumentare sempre di più il potere dell'uomo sulla materia tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell'uomo sull'uomo, e in un generale asservimento dell'individuo al sistema sociale.
L'adesione di Horkeimer al Marxismo comincia ad andare in crisi intorno agli anni 1940/1950, nel momento in cui il filosofo si accorge che il Marxismo, inseguendo l'ideale di padroneggiamento della natura e della società, finisce esso stesso per entrare nella logica illuministica della nostra civiltà. Scriverà Horkheimer: "ciò che Marx immaginò essere il socialismo è in realtà il mondo amministrato"(16),[...] "è vero, sono stato marxista e rivoluzionario, io credevo che solo attraverso una rivoluzione, ed una rivoluzione di tipo marxista, si potesse eliminare il nazionalsocialismo. Il mio marxismo era una risposta alla tirannide del totalitarismo di destra"(17).
A giudizio di Horkheimer Marx si era illuso su alcuni punti di fondo; ad esempio egli pensava che i proletari avrebbero potuto migliorare le proprie condizioni di vita solo con l'eliminazione del capitalismo. In realtà la situazione sociale del proletariato è migliorata senza rivoluzione, e l'interesse comune non è più radicale mutamento della società, ma una migliore strutturazione materiale della vita.
Infine Marx ha ritenuto che giustizia e libertà potessero stare in un rapporto di identità ma i fatti hanno dimostrato che essi stanno in un rapporto di esclusione. Giustizia e libertà sono in realtà concetti dialettici: quanta più giustizia, tanto meno libertà; quanta più libertà tanto meno giustizia.
La messa in luce dei limiti del Marxismo si accompagna nell'ultimo Horkheimer ad un apertura al discorso teologico. Egli afferma che non possiamo provare l'esistenza di Dio, anzi di fronte al dolore del mondo e all'ingiustizia è impossibile credere nel dogma di un Dio onnipotente e buono. Per Horkheimer Dio è la speranza, la nostalgia o l'anelito che "nonostante questa ingiustizia che caratterizza il mondo non possa avvenire che l'ingiustizia possa essere l'ultima parola".(18)


Bibliografia


Abbagnano Nicola,Fornero Giovanni,"Filosofi e filosofie nella storia",seconda edizione,Torino,G.B.Paravia & C. S.p.A.,1992,voll.3,pagg.567-568,573-575,329-331.
Reale Giovanni,Antiseri Dario,"Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi",dodicesima edizione,Brescia,Editrice La Scuola,1989,voll.3,pagg. 625-627,325-327,631-635,635-637,626,631.
Mario Trombino,"La ricerca contemporanea Testi e Percorsi",prima edizione,Bologna,Casa Editrice Poseidonia,1997,voll.3,pagg.645-647,643.

Note


(1) "CD Rom Gedea", 1996-1997, Enciclopedia Generale torna al testo
(2) Abbagnano Nicola, Fornero Giovanni, "Filosofi e Filosofie nella storia", seconda edizione, Torino, G.B.Paravia & C. S.p.A., 1992, voll.3, pag.573 torna al testo
(3) Ibidem, pag.575 torna al testo
(4) Reale Giovanni, Antiseri Dario, "Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi", dodicesima edizione, Brescia, Editrice La Scuola, 1989, voll.3, pag.631 torna al testo
(5) Ibidem, pag.633 torna al testo
(6) Ibidem, pag.635 torna al testo
(7) Abbagnano Nicola, Fornero Giovanni, "Filosofi e Filosofie nella storia", seconda edizione, Torino, G.B.Paravia & C. S.p.A., 1992, voll.3, pag.329 torna al testo
(8) Reale Giovanni, Antiseri Dario, "Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi",dodicesima edizione, Brescia, Editrice La Scuola, 1989, voll.3, pag.635 torna al testo
(9) Ibidem, pag.636 torna al testo
(10) Ibidem, pag.635 torna al testo
(11) Ibidem, pag.636 torna al testo
(12) Ibidem, pag.636 torna al testo
(13) Ibidem, pag.637 torna al testo
(14) Ibidem, pag.636 torna al testo
(15) Ibidem, pag.637 torna al testo
(16) Ibidem, pag.631 torna al testo
(17) Ibidem, pag.631 torna al testo
(18) Ibidem, pag.629 torna al testo