Salaris Simona


Dalla reazione filosofico-politica all'Idealismo alla scuola di Francoforte


L'IDEALISMO


Hegel (ritratto)La parola "idealismo" presenta una varietà di significati. Nel linguaggio comune si denomina idealista colui che è attratto da determinati "ideali" o "valori" e che sacrifica per essi la propria vita. In filosofia si parla di "idealismo", in senso lato, a proposito di quelle visioni del mondo, come ad esempio il platonismo e il cristianesimo, che privilegiano la dimensione "ideale" su quella "materiale" e che affermano il carattere "spirituale" della realtà "vera". In questo senso il termine idealismo viene introdotto nel linguaggio filosofico verso la metà del '600.
L'idealismo costituisce il nome della grande corrente filosofica post kantiana che si originò in Germania nel periodo romantico e che ha avuto numerose ramificazioni nella filosofia moderna e contemporanea di tutti i paesi. Dai suoi stessi fondatori, Fichte e Shelling, questo idealismo fu chiamato "trascendentale" o "soggettivo" o "assoluto". L' aggettivo "trascendentale" tende a collocarlo con il punto di vista kantiano, che aveva fatto dell'"io penso" il principio fondamentale della conoscenza. La qualifica di "soggettivo" tende a contrapporre questo idealismo al punto di vista di Spinoza, che aveva bensì ridotto la realtà ad un unico principio, la Sostanza, ma aveva inteso la Sostanza stessa in termini di oggetto o di natura. Infine l' aggettivo "assoluto" mira a sottolineare la tesi che l'Io o lo Spirito è il principio unico di tutto e che fuori di esso non c'è nulla.
L'Idealismo tedesco sottolinea il primato del pensiero come realtà universale. Ogni forma di idealismo ha sempre trovato difficile pensare la materia, se non come immagine. La materia finisce per dissolversi nella rappresentazione.
Nell'Idealimo rimane la tendenza illuminista a preferire la facoltà della ragione come fondamentale mezzo per la conoscenza e le azioni dell'uomo. Da questo punto di vista possiamo affermare che l'Idealismo accetta il razionalismo.
Il concetto di ragione, nell'Idealismo, assume significati che vanno ben oltre il semplice intelletto astratto. Infatti l'Idealismo considera l'intelletto come uno strumento adatto solo per comprendere il finito e quindi non adatto per cogliere la ragione profonda delle cose. L' intelletto lascia l'uomo nella "povertà" (Holderlin). L idealismo tedesco, laicizzando il biblico "Dio creò i cieli e la terra per l' uomo", conclude che l' uomo stesso è Dio. Tant' è vero che la figura classica di un Dio trascendente e perfetto, per il primo Fichte è solo una "ciarla scolastica", in quanto presupporrebbe l' esistenza di un positivo senza un negativo. Invece, per gli idealisti, l' unico Dio possibile è lo Spirito dialetticamente inteso, ovvero il soggetto che si costituisce tramite l' oggetto, la libertà che opera attraverso l' ostacolo, l' io che si sviluppa attraverso il non-io. Con l' idealismo ci troviamo di fronte per la prima volta ad una forma di "panteismo spiritualistico" (ovvero Dio è lo spirito operante nel mondo, cioè l' uomo), che si distingue sia dal "panteismo naturalistico" (ovvero Dio è la Natura), sia dal "trascendentismo di tipo ebraico e cristiano" (ovvero Dio è una Persona esistente fuori dall' universo). Come tale, l' idealismo è anche una forma di "monismo dialettico" (ovvero esiste un'unica sostanza: lo Spirito, inteso come realtà positiva realizzante se medesimo attraverso il negativo: la natura, il non-io ecc.). Pur essendo d' accordo sull' interpretazione della realtà mediante le categorie di Spirito e Infinito, gli idealisti (Fichte, Shelling ed Hegel) si differenziano fra di loro per la specifica maniera di intendere l' Infinito e i suoi rapporti col finito (la natura e la storia). Inoltre Fichte e Shelling, ad un certo sviluppo del loro pensiero, si allontanano, almeno in parte, dalle originarie tesi idealistiche, elaborando dei nuovi organismi sistematici che pervengono ad un recupero di schemi metafisici tradizionali. L'incarnazione più tipica, coerente e storicamente decisiva dell' idealismo tedesco, è invece rappresentata da Hegel


L'IDEALISMO DI FICHTE


Fichte (ritratto)Johann Gottlieb Fichte nacque a Rammenau il 19 maggio 1762 da famiglia poverissima. La vocazione filosofica è stata è stata occasionata dagli scritti di Kant. Kant aveva voluto costruire una filosofia del finito; la grande novità di Fichte consiste nella trasformazione dell' Io penso kantiano in io puro, inteso come intuizione pura, che si autopone (autocrea) e, autoponendosi, crea tutta la realtà, e nella connessa individuazione dell' essenza di questo Io nella libertà. Nella filosofia aristotelica il principio incondizionato della scienza era il principio di non contraddizione; nella filosofia moderna e per lo stesso Kant era il principio d'identità A=A, considerato ancora più originario. Per Fichte questo principio deriva da un principio ancora ulteriore. In effetti, il principio A=A è puramente formale e ci dice solo che esiste A, allora A=A. Di necessario, in questo, c' è solo il legame logico "se... allora". Questo legame logico non può essere posto se non dall' Io che lo pensa, il quale, pensando il legame di A con A, pone, oltre al legame logico, anche A. Il principio supremo non è dunque quello dell' identità logica A=A, perchè esso risulta posto e, quindi, non è originario. Il principio originario non potrà essere se non l' Io stesso A. E l' Io non è posto da alcunchè di altro, ma si auto-pone. Il principio primo, dunque, è conizione incondizionata. Se è condizione di se medesimo, allora è, in una parola, auto-creazione. Nella metafisica classica si diceva: "operari sequitur esse", vale a dire l' azione consegue all' essere delle cose, una cosa per agire deve prima essere, l' essere è la condizione dell' agire. La nuova posizione idealistica rovescia esattamente l' antico assioma e afferma che "esse sequitur operari": l'azione precede l'essere, l'essere deriva dall'azione e non viceversa. Fichte dice che l'essere non è un concetto originario, ma "derivato", "dedotto", ossia prodotto dall' agire. Questi Io non è l'Io del singolo uomo empirico, ma l' Io assoluto. Al primo principio della "posizione" (tesi) o autoposizione dell' Io si contrappone un secondo principio di "opposizione" (antitesi), che Fichte formula così: l' Io oppone a se un non-Io. Dunque è l'Io che, così come autopone sè, oppone qualcos'altro a sè. L'Io pone se medesimo non già come alcunchè di statico, ma come alcunchè di dinamico (come azione), si pone come ponente e il porsi come ponente comporta necessariamente lo scaturire di qualcos'altro, ossia la posizione di un non-Io. E' evidente che questo non-Io non è fuori dell'Io, ma all'interno di esso, giacchè nulla è pensibile al di fuori dell'Io. Dunque, l'Io illimitato oppone a sè un non-Io illimitato. Così, se il primo momento è quello della libertà (della libertà originaria), il secondo, dell'opposizione, è il momento delle necessità. Questo momento è indispensabile per spiegare tanto l'attività teorica (la coscienza e la conoscenza), quanto l'attività pratica (la vita morale e la libertà della coscienza).

L'IDEALISMO DI SHELLING


Friedrich Wilhelm Joseph Shelling nasce a Leomberg il 21 gennaio del 1775. A partire dal 1797 si accinge a rivalutare la Natura, che Fichte aveva privato di qualunque identità specifica. Secondo Shelling, bisogna applicare alla Natura lo stesso modello di spiegazione che Fichte aveva applicato alla vita dello Spirito. La natura viene così a mostrarsi come la produzione di un' intelligenza inconscia che opera dall'interno di essa sviluppandosi in senso teologico. Il grande principio della filosofia shellinghiana è dunque: "la Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito deve essere la Natura invisibile.
Il primo pensiero shellinghiano agita ancora problemi collegati ai dibattiti suscitati dalle difficoltà e dalle aporie inerenti alla kantiana "cosa in sè", che, peraltro, egli ritiene sostanzialmente risolti e superati dalla filosofia di Fichte. Ecco perchè la prima produzione del nostro filosofo costituisce sostanzialmente un tentativo di impossessarsi dell'idealismo fichtiano e di ripensarne i motivi di fondo. I sedicenti kantiani, secondo Shelling sono fuori strada, perchè la dottrina di Fichte è davvero (come sostiene il suo autore) la "vera" dottrina kantiana, svolta in maniera coerente e consapevole, e le sue conclusioni segnano una tappa decisiva: bisogna cercare nella sfera del Soggetto ciò che prima si era cercato nella sfera del mondo esterno e dell'oggetto.
Tuttavia, per quanto questi concetti siani espressi con terminologia e con un giro di pensiero fichtiani, fanno già capolino nuove esigenze, che permettono di presentire in quale direzione Shelling si muoverà. In primo luogo, è evidente il taglio fortemente metafisico con cui Shelling abborda la lettura della "Dottrina della scienza". Di conseguenza, l'Io puro viene presentato come l'Assoluto, la cui unità non è quella numerica degli individui, bensì quella propria dell'Uno-Tutto immutabile. l'Io non è coscienza, nè pensiero, nè persona, perchè coscienza e persone sono momenti successivi e "dedotti". Analogalmente, Shelling da' grande rilievo all'"intuizione intellettuale", così come alla "libertà". Infatti, egli delinea con maggiore nettezza la "deduzione del mondo" a partire dall'Io. In questi scritti giovanili sono già visibili in controluce, oltre le implicanze metafisiche dell'Io inteso come Assoluto di cui si è detto, le nuove esigenze che caratterizzano i successivi interessi di Shelling. In particolere Shelling cercherà di colmare la vistosa lacuna del sistema fichtiano, che aveva ridotto al puro non-Io tutta la natura, facendole perdere identità specifica e quasi annullandola. A partire dal 1797, Shelling si accinge dunque a rivalutare la natura e a colmare le lacune del sistema di Fichte. Ma, ciò facendo, metteva in crisi la "Dottrina della scienza" e spianava la strada ad una differente formulazione e prospettazione dell'Idealismo. Che cos'è, allora, la Natura, se non un puro non-Io? Shelling ritiene che il problema sia solubile supponendo l' esistenza di un' unità fra ideale e reale, fra Spirito e Natura: "Il sistema della Natura, egli scrive, è insieme il sistema del nostro Spirito". Ciò implica che si debba applicare alla Natura quello stesso modello di spiegezione che Fichte aveva applicato con successo alla vita dello Spirito.
Per Shelling, insomma, gli stessi principi chespiegano lo Spirito possono e debbono spiegare anche la natura. Se è così, allora ciò che spiega la natura è quella stessa intellifenza che spiega l' Io. Bisogna trasferire alla natura quella "attività pura" scoperta da Fichte come "essenza" dell'Io. Shelling, in questo modo, giunge alla conclusione che la Natura è prodotta da un' intelligenza inconscia, che opera all'interno di essa, e che a gradi si sviluppa teleologicamente, ossia a siccessivi livelli che mostrano un' intrinseca e srtutturale finalizzazione. Il grande principio della filosofia della Natura shellinghiana è il seguente: "La Natura deve essere lo spirito visibile, lo Spirito Natura invisibile. Qui, dunque, nell' assoluta unità dello Spirito, in noi e della Natura fuori di noi, si deve risolvere il problema come sia possibile una Natura fuori di noi". La Natura altro non è se non "un'intelligenza irrigidita in un essere", "sensazioni spente in un non essere", "arte formatrice di idee che trasforma in corpi".


GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL

Georg Wilhelm Friedrich Hegel nacque il 27 agosto 1770 a Struttgart. Per seguire proficuamente lo svolgimento del pensiero do Hegel risulta indispensabile aver chiare le tesi di sfondo del suo idealismo:
1. La risoluzione del finito nell' infinito;
2. L'identità fra ragione e realtà;
3. La funzione giustificatrice della filosofia.
Con la prima tesi Hegel intende dire che la realtà è un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione di esso. Tale organismo coincide con l'Assoluto e non con l'Infinito, mentre i vari enti del mondo, essendo manifestazione di esso, coincidono con il finito. Di conseguenza, il finito come tale non esiste, perchè ciò che noi chiamiamo non è nient'altro che un espressione parziale dell'infinito. Per Hegel l'Assoluto s'identifica con un Soggetto spirituale in divenire in cui tutto ciò che esiste è un "momento" o "manifestazione". Il soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà è denominato da Hegel con il termine "Ragione" o "Idea", intendendo con queste espressioni l'identità di pensiero ed essere o meglio di ragione e realtà. "Ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale": con questo aforisma Hegel afferma la necessaria totale identità della realtà e della ragione. Hegel tuttavia non compie il tentativo di dedurre tutta la realtà da un unico principio; nè il tentativo di annullare le determinazioni concrete della realtà in un assoluto indifferente. Egli intende conservare e garantire tutta la ricchezza della realtà e non ridurla a schemi astratti. Ma la realtà è, per Hegel, intrinsecamente ragione e dal suo canto la ragione, è ciò che realmente e concretamente esiste. Lessere e il dover essere coincidono. Quindi la realtà è sempre quella che deve essere: razionalità intera e perfetta. La filosofia deve soltanto portare nella forma del pensiero il contenuto reale che l'esperienza le offre, dimostrandone l'intrinseca razionalità. Ma se la realtà è ragione, è assoluta necessità, la filosofia che ne dimostra la necessità è sempre scienza o sistema. Solo una scienza intesa come sistema che raccoglie ed unifica tutte le determinazioni del reale è veramente filosofia.


LA DIALETTICA DI HEGEL

L'Assolutismo per Hegel è fondamentalmente divenire. La legge che regola tale divenire è la "Dialettica". Nell' Enciclopedia Hegel distingue tre momenti o aspetti:
a) "astratto" o "intellettuale";
b) "dialettico" o "negativo razionale";
c) "speculativo" o "positivo razionale".
Il momento intellettuale (che è il grado più basso della ragione) è quello per cui il pensiero si ferma alla determinazioni rigide della realtà limitandosi a considerarle nelle loro reciproche differenze e secondo il principio d'identità e di non contraddizione. Il momento dialettico consiste nel mostrare come le sopra citate determinazioni siano unilaterali ed esigono di essere relazionate con altre determinazioni. Infatti, poichè ogni affermazione sottintende una negazione, in quanto per specificare che una cosa è, bisogna chiarire ciò cheessa non è, risulta indispensabile procedere oltre il principio d'identità e mettere in rapporto le varie determinazioni con altre determinazioni opposte. Il terzo momento, quello speculativo, consiste invece nel rendersi conto che tali determinazioni sono aspetti unilaterali di una realtà più alta che li comprende e li sintetizza entrambi. Globalmente la dialettica consiste quindi:
1) Nell'affermazione di un concetto "astratto e limitato" che funge da tesi;
2) Nella negazione di questo concetto come alcunchè di limitato e finito e nel passaggio ad un concetto opposto che funge da antitesi;
3) Nell'unificazione delle precedenti affermazioni o negazioni in una sintesi positiva comprensiva di entrambe (sintesi).


LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO

Il principio della risoluzione del finito nell'infinito, o dell'identità di razionale e reale, è stata illustrata da Hegel in due forme diverse. Dapprima Hegel si è fermato ad illustrare la via che per giungere ad esso ha dovuto percorrere la coscienza umana in secondo luogo Hegel ha illustrato quel principio quale appare in atto nelle determinazioni della realtà. La prima illustrazione è quella che Hegel ha dato nella "Fenomenologia dello Spirito"; la seconda è quella che Hegel ha dato nella "Enciclopedia delle scienze filosofiche". La Fenomenologia è la storia romanzata della scienza che attraverso erramenti e scissioni e quindi infelicità e dolore, esce dalla sua individualità, raggiunge l'universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione (ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale). Perciò l'intero ciclo della fenomenologia si può riassumere in una delle sue figure particolari: quella della coscienza infelice è quella che non sa d'essere tutta la realtà, perciò si trova scissa e in differenze, opposizioni o conflitti dai quali è dilaniata e dai quali esce solo arrivando alla coscienza d'essere tutto. La prima parte della Fenomenologia si divide in tre momenti: coscienza (tesi), Autocoscienza (antitesi) e ragione (sintesi). Nella fase della coscienza predomina l'attenzione verso l'oggetto; nella fase dell' Autocoscienza predomina l'attenzione verso il soggetto; infine nella fase della ragione si arriva a riconoscere l'unità profonda del soggetto e dell'oggetto.


LA SCISSIONE DELLA SCUOLA HEGELIANA

Alla morte di Hegel la sua scuola, allora fiorente, fu pervasa da un senso di sgomento. Era largamente diffusa tra i discepoli di Hegel la convinzione che la filsofia Hegeliana rappresentasse una sintesi conclusiva che occorreva consolidare, chiarire, applicare e divulgare, ma oltre la quale non era possibile andare. Tuttavia, già verso la fine degli Trenta, si potevano riscontrare, specialmente rispetto al problema teologico-religioso, sviluppi di notevole interesse e correnti tra di loro ben distinte e anche opposte. Per designare queste correnti ebbe fortuna la distinzione, desunta dal Parlamento francese, tra una Destra (i cosiddetti "vecchi-hegeliani")e una Sinistra (i cosiddetti "giovani-hegeliani"), adottata per la prima volta da David Friedrich Strauss nel 1837 e poi entrata largamente nell'uso. Mentre la Destra sosteneva che nessun altro sistema come quello di Hegel consentiva il più completo accordo tra filosofia e fede cristiana, la Sinistra, soprattutto con Strauss, prendeva posizione polemica rispetto a ogni forma di cristianesimo tradizionale e di religione rivelata. Strauss giungeva a interpretare la figura di Cristo come frutto dell'attività dell'immaginazione e quindi come un mito. Secondo Strauss è contradditorio che l'Idea si sia realizzata una volta per tutte in un singolo individuo storico (Cristo); soltanto l'umanità intera nella sua storia può invece portare a compimento la riconciliazione tra natura umana e divina che è stata simboleggiata in Cristo.
Tuttavia questa problematica religiosa che, all'interno dell'hegelismo, ha raggiunto la punta più significativa con l'opera di Feuerbach, doveva ben presto cedere il passo al prevalere di interessi politici, anche sotto l'incalzare degli avvenimenti culminanti nei movimenti rivoluzionari del 1848.
La scissione della scuola hegeliana non deve essere intesa in modo troppo rigido, come una contrapposizione esclusiva dei due estremi, ma che ha dato luogo anche a numerose tendenze e sfumature intermedie".
da "Manuale di filosofia III"

DESTRA E SINISTRA HEGELIANA

Per intendere la differenza di posizione tra gli allievi di Hegel, si deve tener presente che vi è tra loro anche una differenza di status sociale e di posizione professionale. I filosofi della Destra sono, come Hegel, professori universitari-impiegati dello Stato, dunque, che godono di un elevato prestigio e di una posizione sociale di prim' ordine in una società che ormai va liberandosi dai residui feudali e si avvia a divenire pienamente borghese.
I filosofi della Sinistra, "Giovani hegeliani", al contrario, si trovano in una situazione del tutto diversa. Per ragioni varie, ma sempre collegate alle loro idee in tema di religione e di politica, devono tutti abbandonare la carriera accademica e vivere di attività diverse. Per la maggior parte divengono giornalisti, o pubblicisti, rivolgendosi direttamente al pubblico dei lettori piuttosto che al pubblico degli studenti di un' università.
Il terreno su cui nasce l'opposta interpretazione di Hegel da parte della Destra e della Sinistra è comunque, all'origine, strettamente teologico. Come interpretare la figura di Cristo? Essa ha un fondamento storico? Per Hegel il contenuto della filosofia e della religione è il medesimo: entrambe hanno per oggetto l' Assoluto nella sua totalità, nella pienezza del suo essere. La religione però si distingue dalla filosofia per la forma in cui questo contenuto è espresso. La religione lo esprime nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del concetto.
La Destra hegeliana interpreta la filosofia hegeliana come il più alto livello raggiunto dalla civiltà umana nella comprensione del divino: la razionalità dialettica permette di rendere ragione del mistero implicito nella forma della religione, e allo stesso tempo di salvarne il contenuto, rendendolo compresibile e accettabile per l'uomo moderno.
I dogmi dell'immortalità dell'anima e dll Trinità, la concezione personale di Dio; tutto questo può essere accolto razionalmente.
La stessa figura di Cristo, come sintesi dell'umano e del divino, può esser compresa nella sua essenza storica alla luce della concezione dialettica hegeliana, che permette di intendere il rapporto tra il finito e l'infinito,il tempo e l'eterno.
La Sinistra hegeliana interpreta in modo opposto il rapporto tra religione e filosofia.
La razionalità dialettica deve essere posta al servizio della critica della religione, cioè dell'esame razionale del dogma, della storia della salvezza,della stessa concezione della divinità. Si tratta, inoltre, di sottoporre a critica, cioè a indagine razionale, lo stesso bisogno umano della religione, al fine di comprendere l'impulso che porta l'uomo alla fede.
La conlusione del lavora critico della Sinistra sfocia in un radicale ateismo, come vedremo dalle posizioni di Stirner e Feuerbach. Ma sfocia allo stesso tempo in una completa revisione dell'idealismo e in un sostanziale abbandono del sistema hegeliano. Come abbiamo già ricordato, di Hegel viene ripreso essenzialmente il metodo dialettico, la cui applicazione darà con Marx frutti rivoluzionari, aprendo la via a un campo nuovo della filosofia contemporanea. Questi "Giovani hegeliani" non hanno formato una vera e propria scuola unitaria. Hanno invece polemizzato aspramente fra loro, dialogando con profondo pathos".


da"La ricerca contemporanea"Mario Trombino;ed."Poseidonia"


In sistesi, il dibattito tra le due scuole,si estende a temi politici; di conseguenza è comprensibile quanto la filosofia della religione sia strettamente legata a posizioni politiche. Siamo appunto nell'età della restaurazione, in cui, in Germania, il legame tra Stato e Chiesa è molto accentuato.
Gl uomini della Sinistra hegeliana, usano il metodo hegeliano per interpretare il mondo e per comprendere la sua essenza. Il termine "Giovani hegeliani" non viene adottato solo in base all'età, ma anche in funzione della loro esaltazione ( tipica nei giovani ) del pensiero per mezzo del quale può essere modificata la realtà; il pensiero assume, quindi, le vesti di un efficace strumento per la rivoluzione culturale e politica.


DAVID FRIEDRICH STRAUSS


Avviando il movimento della sinistra hegeliana, scrisse nel 1835 un saggio di filosofia della religione intitolato "Vita di Gesù", in cui la storia narrata dai Vangeli viene letta e interpretata come mito. Il suo punto di partenza è la tesi hegeliana secondo cui filosofia e religione si differenziano per la forma. Secondo Strauss, la religione esprime la verità attraverso le immagini. "Nella figura di Gesù, quindi, finito e infinito effettivamente si toccano, ma Gesù in quanto espressione di questa unità non è che un'immagine il cui valore consiste nell'incarnare un'idea. é un mito. Nella sua persona si nasconde sì la più profonda delle verità, ma solo nella forma cuo cui il popolo della sua epoca poteva esprimerla. "Nnonostante tutto, questo non implica di non dovere avere rispetto del mito, perchè esso è vero, inquanto testimone di una profonda e autentica realtà storica e umana. La posizione di Strauss, tuttavia, non è atea. La sua opera apre la via a nuove indagini: le sue idee sul mito potranno essere accolte dalla teologia, una volta superate le polemiche del momento. Negli anni Trenta la sua opera suscitò parecchie polemiche dalle quali si svilupperanno le tesi degli altri autori della sinistra hegeliana.


LUDWING FEUERBACH


E' attraverso Feuerbach che il percoso storico della sinistra hegeliana si allontana dall'hegelismo. Egli abbandona l'idealismo approdando a una nuova forma di materialismo. Il suo lavoro filosofico gira intorno al tema della critica della religione. Feuerbach intende porre la domanda filosofica sulla critica della religione in termini radicali: perchè nascono le religioni? perchè nell'uomo nasce il bisogno di un Dio?.
Le religioni non nascono su un terreno vergine, ma all'imterno di determinate culture di cui sono espressione. E' l'uomo il creatore di queste culture, è l'uomo a portare in esse la sua vita interiore in forme esteriorizzate. Qual'è l'impulso profondo che spinge l'uomo a rivestire di contenuti religiosi la sua visione del mondo?
Si osservi che il problema di Feuerbach non riguarda Dio in quanto tale. In questione non sono affatto la sua esistenza, la sua realtà oggettiva, o il significato che assume l'idea di Dio nel contesto filosofico della descrizione rezionale della verità. La domanda di Feuerbach riguarda l'uomo. La critica della religione deve porre come oggetto di indagine la più intima essenza dell'uomo, per scoprire la nascosta ragione del suo bisogno di religione.
Perchè dunque l'uomo ha bisogno della fede? Feuerbach ririene che, esista o meno un Dio personale, l'uomo ha bisogno di porre un Dio come esistente, ne ha un'intima necessità. Da dove nasce questo bisogno?.
La tesi di Feuerbach è assai radicale. La storia dell'uomo e delle religioni mostra che il bisogno cge spinge l'uomo a porre Dio come esistente è un impulso elementare, originario, presente in ogni cultura. Appartiene all'uomo in quanto uomo, per quanto possa esprimersi in forme storicamente determinate e differenti tra loro. Nella natura dell'uomo c'è qualcosa che richiede un Dio.
C'è un vuoto nella natura umana, una solitudine talmente radicata da non poter essere riempita da nessun ente terreno. Nell'uomo esiste il bisogno profondo di negare la sua finitezza; esiste l'impulso a negare la sua imperfezione. In breve: la natura umana è portata a negare i propri limiti.
L'immagine di Dio è l'immagine di un'entità infinita, perfetta; di un essere che possiede in positivo tutto ciò che all'uomo manca e che desidera avere. Dio è allora immagine speculare dell'uomo, è l'immagine della perfezione del suo stesso essererealizzata in un modello ideale. L'uomo non è soddisfatto di sè, cerca una perfezione che non riesce ad ottenere nell' universo del tempo e della storia: l'uomo crea questa perfezione nell'immagine di una realtà diversa, perfetta, la realtà di una persona divina.

Bibliografia