Manuela Sgrò


Max Stirner: l'egoismo radicale


Max StirnerDa Feuerbach, Max Stirner (pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, 1806-1856) accetta incondizionatamente la critica della religione e le conclusioni atee: anche per lui "l'Ente supremo per l'uomo è l'uomo", e il timor Domini è un sentimento indegno che distrugge la libertà umana assoggettandola a un feticcio irreale.
L'Universale, comunque inteso, è sempre un'alienazione dell'individuo. Hegel afferma l'immanenza assoluta dello Spirito nella concretezza dei singoli, per riportare i singoli sotto il dominio dell'Idea, dello Stato, della Storia; Feuerbach libera l'uomo dalla schiavitù della fede religiosa, per poi renderlo schiavo dell'Umanità; Marx si oppone a tutte le alienazioni consumate ai miti della storia, per legare alla fine l'individuo agli interessi collettivi di una Classe sociale. La società, come la concepiscono gli idealisti ed i moralisti, non esiste, esiste solo un'associazione, nella quale ognuno si serve degli altri come mezzi della sua "volontà di potenza". Il singolo è fine a se stesso: egli non ripone la sua causa nè in un Dio, nè nell'Umanità, nè nello Stato, nè in una Classe sociale: il suo anarchismo non ha limiti. La sua individualità ha il suo fondamento soltanto in se stessa. L'opera fondamentale dello Stirner "L'Unico e la sua proprietà" si conclude con queste parole:

"Io sono il proprietario della mia potenza, e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell'Unico, il possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualunque essere superiore a me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della mia unicità e impallidire al sole di questa mia coscienza. Se io ripongo la mia causa in me stesso, l'Unico, essa riposa sul suo creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; quindi potrò veramente dire: Io ho riposto la mia causa nel Nulla".(1)

Stirner è il fondatore dell'anarchismo. Fra i tedeschi, egli è l'autentico precursore di Nietzsche. La sua dichiarata e violenta avversione ad ogni mito umano e divino è, sul piano culturale, l'annuncio di una letteratura e di un'arte, che non si arrestano davanti a nessuna norma e a nessun limite ideale, ma minacciano di deturpare, secondo un imprevedibile arbitrio, il volto dell'uomo e del mondo.

LA BIOGRAFIA:


Quando si spegne all'eta di 49 anni,si legge in una nota dello stato civile: "Non madre, non moglie, non figli". Muore in una squallida solitudine. Punto da un insetto velenoso, la situazione della sua precaria salute peggiora rapidamente, anche perchè il medico che lo cura non riesce a cogliere la natura del suo male. La solitudine che aveva accompagnato tutta la sua vita, accompagnerà anche la sua opera. Stirner rimane nel suo tempo, quasi del tutto sconosciuto, proprio come Nietzsche. Se si fa eccezione per una certa notorietà di cui egli gode nell'anno in cui appare "L'unico e la sua proprietà" (1845), la cultura della seconda metà dell'ottocento lo dimentica. Nei primi decenni del novecento, il nome di Stirner riaffiora ancora nella cultura del suo paese e anche fuori da quei confini, anche se si può facilmente constatare che egli non viene ricordato come un autentico filosofo. E' noto che se negli ultimi decenni dell'ottocento, viene per lo più considerato un teorico dell'anarchismo, anzi, il padre dell'anarchismo occidentale, nei primi decenni del nostro secolo, Stirner viene addirittura visto come un precursore del fascismo. La sorte di Stirner è simile a quella di Nietzsche: entrambi vengono letti come precursori del fascismo e nazionalsocialismo. Solo pochi pensatori aperti alla problematica esistenziale, riconoscono Stirner come filosofo. Anche il nome di battesimo Johann Caspar Schmidt viene cancellato dalla memoria della storia, viene sempre ricordato come Max Stirner. Tradotto alla lettera, questo nome significa fronte (Stirm) smisurata (Max-ima). Stirner nasce il 26 ottobre 1806 a Bayreuth in Baviera e muore a Berlino il 25 giugno 1856. La casa natale Poche sono le persone che accompagnano il suo feretro. Ben presto la tomba di Stirner viene coperta da erbe selvagge. Si deve aspettare il 1882, quando il poeta anarchico e suo biografo J.H.Mackay riesce ad individuare il luogo di sepoltura del filosofo. Stirner appartiene ad una famiglia della piccola borghesia protestante. Non ha la gioia di conoscere il padre, che muore sei mesi dopo la nascita del figlio. Due anni dopo, la madre si risposa con un agiato farmacista che aveva la sua attività a Kulm; questo spiega perchè Stirner trascorre la sua infanzia in questa città. Ritorna a Bayreuth per compiere gli studi ginnasiali. E' al ginnasio che i suoi compagni gli attribuiscono il soprannome di Max Stirner. Dopo la maturità s'iscrive all'Università di Berlino, dove frequenta i corsi di filologia e filosofia. ha così modo di seguire le lezioni di filosofia della religione di Hegel. E' costretto, in seguito, a interrompere gli studi per aiutare la madre malata di mente. Riprenderà i suoi studi solo nel 1832, ma purtroppo non conclude i suoi studi universitari; riesce però ad ottenere nel 1835 la Venia Docendi, potendosi dedicare all'insegnamento.
La sua non fu una vita felice; i suoi matrimoni furono poco fortunati e non gli è risparmiata nemmeno l'umiliazione della miseria. E' costretto a subire per debiti, l'esperienza della prigione per ben due volte. Un avvenimento importante per la vita intellettuale di Stirner è costituito dalla sua adesione, a Berlino, al gruppo di quegli intellettuali di Sinistra conosciuti come i "Liberi" (Freien). Ciò avviene verso la fine del 1841. E' un gruppo di artisti, giornalisti, filosofi e studenti. Tra gli spiriti liberi con i quali viene a contatto, si annoverano anche alcuni noti giovani hegeliani; tra questi, i fratelli Bauer ed Engels. Stirner non ha modo di conoscere Marx perchè all'inizio del 1841 aveva abbandonato tale circolo. Le conversazioni tra questi liberi pensatori sono state per Stirner molto fruttuose. In linea generale si può dire che questi "Liberi" si ritrovano nelle loro problematiche, in due punti fondamentali. Da una parte contestano le condizioni politiche e sociali del loro tempo, perchè dominate da un'autorità che degenera in autoritarismo. Dall'altra, contestano, in modo particolare, l'unione tra potere politico e potere ecclesiastico, caratteristica tipica della società borghese di quel tempo. Essi si professano liberi e atei perchè vogliono liberarsi dalla maschera ipocrita di quel mondo borghese in cui sono costretti a vivere. In realtà questi "Liberi", questi atei saranno anch'essi bollati da Marx, come dei borghesi. A suo avviso il loro pensiero rimarrebbe ancora legato al carro astratto dell'Idealismo. In modo particolare questa critica è rivolta a Stirner, che viene definito da Marx ed Engels come "San Max".


"SAN MAX" O IL DIALOGO INCOMPRESO TRA STIRNER E MARX:


Nei decenni del trionfo del marxismo, è stata data poca importanza al pensiero di Stirner. La cultura ufficiale marxista aveva accettato il giudizio di Engels, secondo il quale Stirner era considerato come un anarchico, anzi, come il padre dell'anarchismo; per questo motivo essa lo mette da parte come un pensatore pericoloso."L'unico e la sua proprietà" e la risposta polemica di Marx e di Engels, "San Max", del 1846, contenuta nell'"Ideologia tedesca", divenuti testi classici per la storia delle idee del movimento sociale ottocentesco, sono opere che si intrecciano tra loro. I giovani Marx e Stirner si ritrovano nel comune sforzo di eliminare il momento "teologico" della problematica idealistica di Hegel e dei giovani hegeliani, anche se tale dimensione viene superata in modo diverso. La posizione filosofica dell'egoismo stirneriano è lontana dal materialismo storico di Marx. Egli non si propone solo il compito di superare l'idealismo di Hegel e dei giovani hegeliani, ma anche il nichilismo cui perviene il pensare di Stirner. Max ed Engels non possono capire la profonda realtà della rivolta stirneriana. Marx critica Stirner perchè pensa che questi abbia trovato col suo linguaggio religioso, anzi magico, la pietra filosofale. In realtà non è possibile con un tale linguaggio gettare un ponte tra il momento del pensiero e quello della realtà. L'unico che si dibatte in questo ambito di linguaggio religioso può secondo Marx prendere solo il posto dell'uomo-Dio della religione cristiana e non vibrare colpi rivoluzionari. Dato che la sua è soltanto una rivoluzione religiosa, "L'unico e la sua proprietà" è un libro sacrale. Del resto, Marx afferma che quando Stirner dice di voler porre la sua causa solo su se stesso, intende in fondo far concorrenza a Dio e alla verità come tale. Marx ed Engels hanno diviso "San Max" in due paragrafi che richiamano entrambi la problematica religiosa. Il primo, "L'Antico Testamento", parla dell'uomo. Il secondo, "Il Nuovo Testamento", parla dell'io. In queste pagine, Stirner viene descritto come autore sacro. Ricorrono spesso espressioni ironiche nei confronti di Stirner, tra cui quelle che ricorrono più spesso sono: santo scrittore, santo autore, santo dialettico, buon padre della Chiesa tedesca, santo padre, san Max, beato Max, caballero della tristissima figura, caballero andante, Jacques le bonhomme.
Probabilmente, nel leggere "L'unico e la sua proprietà" Marx ed Engels hanno avuto subito coscienza delle doti geniali di Stirner intuendolo come avversario pericoloso riguardo la problematica sociale. Forse per questo in "San Max", si cerca di relegare il più possibile il pensiero di Stirner nell'ambito di un filosofare idealistico vuoto e fumoso che doveva essere ormai del tutto superato. A loro avviso, non sarebbe giusto annoverare Stirner tra gli "ultimi filosofi"; piuttosto si dovrebbe considerarlo proprio come l'ultimo.


LA SUA OPERA PRINCIPALE "L'UNICO E LA SUA PROPRIETA'"


Per quanto riguarda l'attività filosofica, si deve riconoscere che il 1842 è un anno del tutto speciale. Si apre un periodo di polemiche costruttive, nelle quali è possibile cogliere diversi momenti di fondo dell'originale filosofare di Stirner. Egli pubblica recensioni e saggi di particolare rilievo sistematico. Si può dire che Stirner invece di scrivere, incida su tavole di pietra dura. Le sue frasi sono fredde e taglienti e altrettanto la sua logica. Si è di fronte allo stile tipico di un grande rivoluzionario. E' interessante una lettera che Engels scrive all'amico Max Hildbrandt dove riferisce alcune notizie su Stirner. Engels dice di conoscere molto bene Stirner e di trovarlo in fondo un uomo molto buono "eine gute haut", ben diverso da come lo si potrebbe immaginare dopo aver letto L'unico e la sua proprietà (der eizige und sein eigentum), la sua opera principale. Quest'opera che esce nel 1844, anche se porta la data del 1845, suscita subito stupore e panico tra gli intellettuali borghesi, e in particolare tra le autorità civili ed ecclesiastiche. Ciò è comprensibile se si pensa a quelle espressioni quanto mai radicali nei confronti delle principali organizzazione della società, quali Stato, Chiesa e famiglia. Per questo l'opera viene sottoposta a sequestro. Ma dopo breve tempo è revocato il mandato di censura, dato che lo scritto viene giudicato, da un gruppo di esperti, troppo assurdo per essere preso sul serio e quindi per rivelarsi pericoloso. Stirner ha coscienza di questa situazione e decide di abbandonare nel 1844 il suo insegnamento presso l'istituto femminile privato che aveva condotto con serietà e successo. D'altra parte, ci si può immaginare come tutto ciò concorra a diffondere l'opera, che viene letta con particolare attenzione non solo dai giovani ma da un pubblico intellettuale molto più vasto. Col passare del tempo, la notorietà de "L'unico e la sua proprietà" si allarga nella cultura del tempo. Dopo una seconda edizione, del 1882, esce finalmente nel 1893 l'edizione popolare presso la casa editrice Reclam. Da allora il capolavoro di Stirner sarà accessibile ad un più vasto pubblico, imponendosi come un'opera classica del pensiero europeo.
Per Stirner la realtà effettiva è quella dell'individuo concreto; di quell'individuo che io sono: l'Unico, dinanzi al quale ogni ente superiore deve "inchinarsi".

"Che cosa non dev'essere mai la mia causa! Innanzitutto la buona causa, poi la causa di Dio, la causa dell'umanità, della verità, della libertà, della filantropa, della giustizia; inoltre la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria: infine, addirittura la causa dello spirito e mille altre cause ancora. Soltanto la mia causa non dev'essere mai la mia causa. "Che vergogna l'egoista che pensa soltanto a sè.
Ma guardiamo meglio come si comportano con la loro causa colore per la cui causa non dobbiamo lavorare, sacrificarci ed entusiasmarci. Voi che sapete dire molte cose profonde su Dio e che per millenni avete "sondato gli abissi della divinità" e scrutato il suo cuore, voi certo sapete dirci come Dio stesso tratti la "causa di Dio", che noi siamo chiamati a servire. E infatti voi non fate mistero del modo di comportarsi del Signore. Ora, q1ual è la sua causa? Forse che egli ha fatto sua, come si pretende da noi, una causa estranea, la causa della verità, dell'amore? Questo malinteso vi indigna e voi c'insegnate che la causa di Dio è sì la causa della verità e dell'amore, ma che questa causa non può esser detta a lui estranea. [...] Egli si cura solo della sua causa, ma poiché egli è tutto in tutto, così tutto è sua causa! Ma noi, noi non siamo tutto in tutto e la nostra causa è davvero piccola e spregevole: per questo dobbiamo servire una causa superiore". -Bene è quindi chiaro che Dio si preoccupa solo di ciò che è suo, si occupa solo di sé, pensa solo a sé e vede solo sé; guai a tutto ciò che a lui non è gradito! Egli non serve qualcuno che stia più in alto di lui e soddisfa solo se stesso. La sua causa è una - causa puramente egoistica.
Come stanno le cose per quel che riguarda l'umanità, la cui causa dovremmo far nostra? Forse che la sua causa è quella di qualcun altro? L'umanità serve una causa superiore? No, l'umanità guarda solo a sé, l'umanità è a se stessa la propria causa. Per potersi sviluppare, lascia che popoli e individui si logorino al suo servizio, e quando essi hanno realizzato ciò di cui l'umanità aveva bisogno, essa stessa li getta, per tutta riconoscenza, nel letamaio della storia. Non è forse la causa dell'umanità una - causa puramente egoistica? Non è necessario che dimostri, a chiunque vorrebbe imporci la sua causa, che a lui interessa solo se stesso, non noi, solo il suo bene, non il nostro. Provate un po' a osservare gli astri. La verità, la libertà, la filantropia e la giustizia aspirano forse a qualcos'altro che a farvi entusiasmare e a farsi servire da voi? Per esse va benissimo se risvegliano adorazione e zelo. Ma guardate il popoli che viene difeso dall'abnegazione dei suoi patrioti. I patrioti cadono in lotte sanguinose o in lotta contro la fame e la miseria; forse che il popolo se ne interessa? Grazie al concime dei loro cadaveri il popoloso diventa un "popolo fiorente"! Gli individui sono morti "per la grande causa del popolo " e il popolo dedica loro due parole di ringraziamento e - ne trae il suo profitto. Questo io lo chiamo egoismo fruttuoso. [...] E allora, sulla base di questi fulgidi esempi, non volete capire che è l'egoista ad avere sempre la meglio? Io, per conto mio, ne traggo un grande insegnamento e, piuttosto che continuare a servire disinteressatamente quei grandi egoisti, voglio essere l'egoista io stesso.
Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null'altro che se stessi. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il mio tutto, io che sono l'unico.
Se Dio, se l'umanità hanno, come voi assicurate, sufficiente sostanza in sé per essere a se stessi il tutto in tutto, allora io sento che a me mancherà ancora meno e che non avrò da lamentarmi della mia "vuotezza". Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto. Lungi da me perciò ogni causa che non sia interamente la mia causa! Voi pensate che la mia causa dovrebbe essere almeno la "buona causa"? Macchè buono e cattivo! Io stesso sono la mia causa, e io non sono né buono né cattivo. L'una e l'altra cosa non hanno per me senso alcuno. Il divino è la causa di Dio, l'umano la causa dell'"uomo". La mia causa non è né il divino né l'umano, non è ciò che è buono, vero, giusto, libero, ecc. bensì solo ciò che è mio, e non è una causa generale, ma - unica, così come io stesso sono unico.
Non c'è nulla che m'importi più di me stesso!
L'ideale "l'uomo" è realizzato non appena la concezione cristiana si ribalta in questa tesi: "Io, questo unico, sono l'uomo". Il problema concettuale: "Che cos'è l'uomo?" si è così trasformato nel problema personale: "Chi è l'uomo?". Col "che cosa" si cercava il concetto per realizzarlo; col "chi" non c'è assolutamente nessun problema, bensì la risposta è già presente di persona in colui che pone il problema: il problema si risponde da sé. Si dice di Dio: "Nessun nome può nominarti". Ciò vale per me: nessun concetto si esprime, niente di quanto viene indicato come mia essenza mi esaurisce: sono solo nomi. Di Dio si dice pure che è perfetto e che non ha il compito di aspirare alla perfezione. Anche questo vale solo se detto di me stesso.
Proprietario del mio potere sono io stesso, e lo sono nel momento in cui di essere unico. Nell'unico il proprietario stesso rientra nel suo nulla creatore, dal quale è nato. Ogni essere superiore a me stesso, sia Dio o l'uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di questa mia consapevolezza. Se io fondo la mia causa su di me, l'unico, essa poggia sull'effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma, e io posso dire:
Io ho fondato la mia causa su nulla.(2)

IL PENSIERO ANARCHICO DI STIRNER

Più o meno negli stessi anni in cui si apre la polemica tra Marx e Proudhon, il comunismo trova Stirner nei panni di uno spietato critico cresciuto nelle fila della sinistra hegeliana. Stirner individua nel comunismo l'ultimo tentativo di significazione religiosa del mondo, dopo la caduta di tutti i precedenti pensieri metafisici causata dal pensiero illuministico. Il comunismo è insomma una risposta reazionaria all'irrompere della modernità e dei suoi valori soggettivistici. Per Stirner i caratteri fondanti il progetto comunista sono gli ideali cristiani dell'amore e della comunanza, assommati al mito produttivistico del lavoro inteso come attributo identitario del singolo nella società comunista. Dietro la facciata umanitaria e solidaristica l'idea comunista nasconde un progetto pedagogico totalitario; in una società dove regnano l'amore e il lavoro, gli individui che non si piegano alla moralità colletiva sono più che dei devianti sociali: sono dei malati mentali, e come tali devono essere rieducati, curati. Stirner profetizza con settanta anni di anticipo, senza aver conosciuto Lenin o Stalin, l'approdo totalitario del comunismo realizzato: il Gulag.

"Il fatto che il comunista vede in te l'uomo, il fratello, è solo l'aspetto domenicale del comunismo. Secondo l'aspetto feriale del comunismo, invece, egli non ti considera affatto soltanto come uomo, ma come lavoratore umano o come uomo lavoratore. La prima concezione esprime il principio liberale, nella seconda si nasconde una concezione illiberale. Se tu fossi un "fannullone", il comunismo non disconoscerebbe certo l'uomo in te, ma tenterebbe di purificare "l'uomo pigro" che è in te, di levargli la pigrizia e convertirti alla fede secondo cui il lavoro è la "vocazione" e la "missione" dell'uomo; però, essendo questo un progetto impossibile, lo Stato lo esclude [...] cioè lo rinchiude, trasformandolo da cittadino in compagno di prigione (o di manicomio o di ospedale, secondo il comunismo)."(3)

Stirner ritiene che il fondamento ultimo di ogni discorso sull'uomo sia il nulla.
"Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa sul nulla, su null'altro che se stessi"(4): la religione, la filosofia, la morale, le grandi costruzioni teoretiche pretendono di avere un fondamento oggettivo, assoluto, sia esso divino, naturale, o umano, trascendente gli individui, che li rende di fatto schiavi di un potere immaginario e simbolico, prima che economico o politico, posto nelle loro teste ma fuori dalle loro volontà. Compito di Stirner è smascherare e denunciare questo imbroglio e questa mistificazione: l'esistenza di questi enti colletivi è dovuta ad una costruzione culturale, relativa ed arbitraria. Ogni società istituita sopravvive occultando la sua reale dimensione istituente, la volontà di dominio, e legittimando la propria esistenza attraverso il ricorso ad un mito fondante che assume una valenza sacrale per legare gli individui e coartarli in un progetto, una missione, una causa generale. Il socialismo, il liberalismo, il comunismo hanno ucciso il dio dei cieli per farlo rivivere nell'uomo; sono nuove religioni e come teli sono nuove alienazioni. La tomba di StirnerEsse parlano di un'umanità astratta, che nulla ha a che fare con gli individui reali e concreti. L'individuo per essere libero, si deve sbarazzare di tutti gli idoli e di tutti i miti che sono posti a presidio della sua mente per delimitarne il campo d'azione e guidarlo verso la srada della presunta moralità: deve acquisire la consapevolezza che Dio non è un soggetto creatore ma un oggetto creatore. Non ci si può limitare ad abolire solo le forme mentali, culturali, psicologiche del dominio: alla liberazione interiore deve corrispondere una liberazione esteriore dalla astrazioni reificate. Lo stato, il dio moderno, il cui culto costituisce la nuova espressione della schiavitù del singolo nei confronti di un ente posto fuori da lui al quale deve obbedienza. Stirner non è interessato ad un progetto rivoluzionario, poichè esso non potrebbe che mirare alla riproduzione di nuove istituzioni, di nuovi domini. Contro l'istituto, Stirner proclama la rivolta permanente dell'io a tutto ciò che lo vuole autoritariamente assoggettare.


NOTE


  1. Max Stirner, "Der eizige und sein eigentum", L'unico e la sua proprietà, edizione Demetra, Colognola ai Colli (Vr). torna al testo
  2. Ibidem torna al testo
  3. Ibidem torna al testo
  4. Ibidem torna al testo

BIBLIOGRAFIA

  • A cura di Emanuele Severino, Antologia filosofica, 6° edizione del settembre 1999,M ilano, Superbur Saggi, (pp.335-337).
  • A cura di Giuseppe Faggin, Storia della filosofia 3, 4° edizione dell'ottobre 1971, Principato editore, Milano.
  • A cura di Filippo Pani, Salvo Vaccaro, Il pensiero anarchico, ed. Demetra, edizione del novembre 1999, Colognola ai Colli (Vr)
  • Max Stirner, "Der eizige und sein eigentum", L'unico e la sua proprietà, edizione Demetra, Colognola ai Colli (Vr)