di Claude Bettanini


KARL MARX

LA VITA


Karl Marx nasce a Treviri, nel 1818.
Filosofo, economista e politico tedesco, fu il fondatore, con Friedrich Engels, del socialismo scientifico.
Nato da una famiglia di religione ebraica, sposò nel 1843 Jenny Westphalen.
Karl Marx Studia dapprima giurisprudenza a Bonn e a Berlino, dove entra in contatto con i cosidetti "giovani hegeliani". Nel 1841 si laurea in filosofia a Jena con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e di Epicuro.
Nel 1842 divenne dapprima collaboratore e poi direttore della "Rheinische Zeitung" (Gazzetta Renana) di Colonia. I suoi articoli, incentrati sulla critica delle condizioni sociopolitiche dell'epoca, gli crearono problemi con le autorità: il giornale fu soppresso nel 1843. Marx si recò quindi a Parigi, dove instaurò contatti con i movimenti socialisti, completò la sua formazione teoretica in filosofia e si dedicò ai primi studi in economia politica.
Nel 1844 incontrò Engels; entrambi si accorsero di essere pervenuti alla medesima concezione della necessità storica di una rivoluzione e collaborarono alla sistematizzazione dei principi teoretici del comunismo, oltre che all'organizzazione di un movimento operaio internazionale fondato su tali principi.
Nel 1848, per incarico della Lega dei comunisti e in collaborazione con Engels, pubblica il "Manifesto del partito comunista", ed è direttamente coinvolto nelle attività rivoluzionarie in Francia e in Germania. Ma alla fine dell'anno, conclusosi il ciclo rivoluzionario, è costretto a riparare a Londra, dove si stabilirà definitivamente.
A partire dal 1851 abbandona la politica attiva e prosegue l'attività giornalistica, mentre si dedica alla stesura delle sue opere fondamentali. Prende parte attiva alla fondazione della Prima Internazionale nel 1864.
Muore a Londra nel 1883, senza aver potuto completare gli ultimi volumi de "Il Capitale", opera alla quale lavorò dal 1866, in difficilissime condizioni economiche.


IL NUOVO MATERIALISMO


Dopo la morte di Hegel, avvenuta nel 1831, la Germania fu protagonista di accesi dibattiti filosofici che ebbero come risultato la nascita di due filoni di pensiero noti come Destra e Sinistra Hegeliana. Di fondamentale importanza è il nuovo ruolo assunto dall'uomo analizzato sia nel contesto storico in cui si trova, sia nel ruolo che egli assume nella società.
E' proprio da una nuova concezione di quest'ultimo, uscito dalla condizione assegnatagli dal pensiero idealista, che lo considerava come semplice "momento della storia", che possiamo affermare che "non è la coscienza degli uomini a determinare il loro essere ma è il loro essere sociale a determinare la loro coscienza".
E'da questo principio che appare evidente quale cambiamento importante stia coinvolgendo il nuovo pensiero filosofico di cui Marx ne approfondì i contenuti dando l'avvio al nuovo concetto di Materialismo. Marx distaccandosi dal materialismo ottocentesco, poichè ritenuto "volgare" ed ancora carico di concetti idealistici, si dedica alla concezione di un nuovo pensiero in cui lo studio non viene più delegato alla metafisica, ma alla pura scienza, capace oggi di realizzare l'antico sogno dell'uomo: dominare la natura attraverso la tecnologia e l'industria. L'uomo essendo un individuo pensante fà si che il suo stesso pensiero non incarni alcuna forma di pensiero universale.
Nel Poscritto alla seconda edizione de "Il Capitale" Marx afferma:

"Per Hegel il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente con il nome di Idea, è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell'idea o processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini".

Partendo da un'analisi approfondita sul pensiero di
Feuerbach, il quale aveva riconosciuto nell'uomo il soggetto dei suoi stessi bisogni profondi, derivanti dalla sua essenza universale, per fondare quindi l'uomo su se stesso e non più nell'idea di Dio, Marx vi riconosce i residui "mascherati" dell'idealismo hegeliano, di cui vorrebbe essere il capovolgimento. L'uomo di Feuerbach non è infatti un uomo concreto: è ancora un'astrazione concettuale. La sua essenza è ancora universale, destoricizzata, eterna come l'idea hegeliana.
Il pensiero di Marx riconosce nei bisogni dell'uomo non una realtà universale, bensì particolare,tangibile, concreta.
Bisogna dunque approfondire il pensiero filosofico di Feuerbach e più in particolare la sua nozione di Materialismo, per giungere alla comprensione dell'"uomo reale".
Nella sesta delle "Tesi su Feuerbach" (1845) Marx scrive:

"Feuerbach risolve l'essenza religiosa nell'essenza umana. Ma l'essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immannente all'individuo singolo. Nella sua realtà essa è l'insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto:

  1. ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sè, ed a presupporre un individuo umano astratto, isolato.
  2. L'essenza può dunque esser concepita soltanto come "genere", cioè come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente".
Per comprendere profondamente l'uomo, bisogna criticamente analizzare la radice materiale dei suoi bisogni e del suo carattere da cui derivano i suoi pensieri e le sue azioni, nella società in cui si manifestano, definendone la realtà come "insieme dei rapporti sociali".
Il Materialismo non avrà quindi raggiunto il suo scopo finchè non chiarirà quali sono i rapporti sociali da cui deriva il carattere che l'uomo esprime nei suoi comportamenti e nella sua cultura.
Ecco perchè Marx definisce la natura più profonda dell'uomo come "storico sociale", il mondo tipicamente umano nasce in risposta agli impulsi che il singolo subisce nelle relazioni con gli altri uomini, all'interno di una società storicamente determinata, dotata di una precisa cultura e di un suo sistema di bisogni e di valori. La natura viene analizzata come manifestazione dell'uomo, come natura "umanizzata", trasformata incessantemente dal suo lavoro, mutata nelle cose naturali che divengono merce, proprieta', bisogni. Ma che cos'è l'umanità, intesa quindi in modo scientifico e non ideologico? Marx risponde in prima definizione che essa è una specie evoluta, composta di individui associati, che lottano per la propria sopravvivenza. Di conseguenza, la storia non è, primariamente un evento spirituale, ma un processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento.

"Il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l'abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni; la produzione della vita materiale stessa [...] che ancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente per mantenere in vita gli uomini"
(Manoscritti economico filosofici)

Più precisamente, secondo Marx, comprendere l'uomo significa analizzare la società in cui egli si manifesta per giungere quindi alla chiarificazione della dinamica che ne determina le caratteristiche. A fondamento di quest'ultima vi è una natura puramente economica, poichè la vita degli uomini è condizionata sia dal rapporto con la natura, sia dall'organizzazione sociale, pertanto i due aspetti vengono considerati inscindibilmente connessi. Nei "Manoscritti economico filosofici", Marx analizzava la funzione del denaro nella società, e volendo dimostrare che il mondo era "fatto a rovescio", diceva che nella società moderna il padrone delle cose non è l'uomo, bensì il dio denaro, vero e unico culto del mondo borghese.

"Quanto grande è il mio potere [...] Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onesto e quindi anche il suo possessore [...] Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore aspira, non possiedo forse tutte le umane facoltà?"

IL MATERIALISMO STORICO


Con questo nome fu designato da Engels il canone di interpretazione storica proposto da Marx, e precisamente quello che consiste nel riconoscere ai fattori economici (tecniche di lavoro e di produzione, rapporti di lavoro e di produzione) un peso preponderante nella determinazione degli eventi storici. Il presupposto di questo canone è il punto di vista antropologico difeso da Marx, secondo il quale la personalità umana è costituita intrinsecamente (cioè nella stessa natura) dai rapporti di lavoro e di produzione in cui l'uomo entra, per far fronte ai suoi bisogni. Di questi rapporti la "coscienza" dell'uomo (cioè le sue credenze religiose, morali, politiche ecc.) è piuttosto un risultato che un presupposto. Questo punto di vista venne difeso da Marx sopratutto nello scritto "Ideologia tedesca" (Deutsche Ideologie,1845-46). Stando a ciò, la tesi del materialismo storico è basata sul fatto che le forme che la società storicamente assume dipendono dai rapporti economici che prevalgono in una certa fase di essa. Dice Marx:

"Nella produzione sociale della loro vita, gli uomini entrano in determinati rapporti necessari e indipendenti dalla loro volontà rapporti di produzione che corrispondono ad una certa fase di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la "struttura" economica della società, che è la base reale su cui si edifica una soprastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono determinate forme sociali di coscienza [...] Il modo di produzione della vita materiale condiziona perciò in generale il processo della vita sociale politica e spirituale"
(zur kritic der politischen Okonomie, 1859, Pref., trad. ital. pag.17).

Non bisogna tuttavia credere che Marx abbia voluto farsi sostenitore di un fatalismo economico per il quale le condizioni economiche necessiterebbero l'uomo a determinare forme di vita sociale. Negli stessi rapporti economici, in quanto dipendono dalle tecniche di lavoro, di produzione, di scambio, ecc., l'uomo entra come elemento attivo e condizionante; e pertanto la condizionalità che la struttura economica esercita sulle soprastrutture sociali è, almeno parzialmente, una auto condizionalità dell'uomo nei confronti di se stesso. Pertanto, secondo Marx, non è la soprastruttura che reagisce sulla struttura, ma l'uomo che, intervenendo con le sue tecniche, mutando o migliorando la struttura economica, attraverso quest'ultima si autocondiziona.
Ma è possibile riconoscere una "legge dell'evoluzione sociale" che permetta di comprendere il movimento della storia? Solo approfondendo, secondo Marx, lo studio delle classi sociali, essendo divenute il nuovo ed unico soggetto storico, riconosceremo in essa, una dinamica ordinata ed un senso razionalmente comprensibile. (Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia)


MATERIALISMO DIALETTICO


E' nel concetto di materialismo dialettico, che si trova, secondo Marx la necessaria contrapposizione tra le classi che determina storicamente il carattere di ciascuna società, la sua necessaria evoluzione. L'uomo per essere compreso, deve dunque necessariamente essere analizzato nel contesto storico in cui si muove, poichè è proprio quest'ultimo a determinarne la natura e conseguentemente i rapporti di produzione che lo relazionano nella società.
Secondo Marx, Hegel ha perfettamente riconosciuto le leggi della dialettica, ma le ha considerate come

"pure leggi del pensiero [...] sicchè non sono state ricavate dalla natura e dalla storia, ma [...] elargite ad esse dall'alto come leggi del pensiero [ma] Se noi capovolgiamo la cosa, tutto diviene semplice: le leggi della dialettica che nella filosofia idealistica appaiono estremamente misteriose diventano subito semplici e chiare come il sole"
(Antiduhring, pref.)

Queste leggi sono, secondo Marx, rispettivamente tre:
  1. La legge della conversione della quantità in qualità e viceversa;
  2. La legge della compenetrazione degli opposti;
  3. La legge della negazione della negazione.
La prima spiega che nella natura le variazioni qualitative avvengono soltanto aggiungendo o togliendo materia o movimento, cioè mediante variazioni quantitative. La seconda garantisce l'unità e la continuità del mutamento incessante della natura. La terza chiarisce che ogni sintesi è a sua volta la tesi di una nuova antitesi che metterà capo ad una nuova sintesi (Engels, Dialektik der Natur, passim).

" La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta".
(Dal Manifesto del partito Comunista, 1 borghesi e proletari).

L'insieme di queste leggi determina l'evoluzione necessaria e progressiva del mondo naturale.
Il senso dell'intero processo è ottimistico. L'organizzazione della produzione secondo un piano, quale si attuerà nella società comunista, è destinato a sollevare gli uomini al di sopra del mondo animale dal punto di vista sociale, come l'uso degli strumenti della produzione lo ha fatto dal punto di vista della specie.


CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA


Karl Marx (ritratto) Una più precisa determinazione di cosa Marx intenda per materialismo storico conduce al riconoscimento che la base materiale va ricondotta fondamentalmente ad una base economica. La scienza che si è occupata di uno studio della realtà storica alla luce delle leggi economiche in essa operanti è l'economia politica. Come nella filosofia, anche qui, si tratterà di comprendere che sotto le leggi economiche, riconosciute come eterne, affermando di limitarsi a constatarle, soggiace un fatto storico ben preciso: la forma sociale determinata di cui tali leggi sono espressione. In altre parole, ciò che è un semplice fatto, viene trasformato e fatto valere dall'economia, come una legge.
Ciò facendo tuttavia, l'economia, non solo non spiega ciò che dovrebbe, ma trasforma in legge necessaria ciò che è solo un sistema di rapporti vigente in un certo stadio di sviluppo dell'umanità. Prendiamo per esempio il caso della proprietà privata:

"L'economia politica parte dal fatto della proprietà privata. Non ce la spiega. Essa esprime il processo materiale della proprietà privata, il processo da questa compiuto in realtà, in formule generali astratte, che essa poi fa valere come leggi. Essa non comprende queste leggi, cioè non mostra come esse risultino dall'assenza della proprietà privata"
(Manoscritti economico filosofici)

Essa non è quindi una scienza, ma soltanto l'ideologia economica della classe dominante. Un'indagine scientifica dei rapporti economici deve invece interrogarsi proprio su ciò che l'economia assume come legge immutabile, anzitutto sul fatto della proprietà privata.
Appena ci si pone in questo atteggiamento, che è quello appunto dei Manoscritti economico filosofici, si avverte che la proprietà, anziché essere un punto di partenza assoluto, è piuttosto

" il prodotto, il risultato, la necessaria conseguenza del lavoro espropriato, del rapporto estrinseco dell'operaio con la natura e con se stesso"

Il nesso essenziale che tiene uniti proprietà privata, cupidigia, divisione del lavoro, ecc., trova la propria spiegazione, nel carattere alienato del lavoro nella società capitalistica.
L'alienazione che in Hegel era il processo per cui l'idea si estraniava da sé per negarsi e realizzarsi infine più compiutamente nella sintesi, diviene in Marx il risultato di un processo reale, la cui base è economico-sociale e di cui la vittima è l'uomo concreto, il lavoratore.
Per l'operaio, l'alienazione ha un'origine duplice. In primo luogo essa dipende dal fatto che il prodotto del lavoro non appartiene al lavoratore che lo produce, ma al capitalista: l'oggetto diviene così un ente estraneo e indipendente. In secondo luogo essa dipende dal fatto che nel lavoro l'operaio non realizza affatto se stesso, ma piuttosto si nega come uomo e si vende per poter continuare a vivere. L'alienazione tocca quindi tanto il prodotto del lavoro (primo aspetto), quanto l'atto della produzione (secondo aspetto). Come conseguenza di questi due aspetti, l'operaio diviene anzitutto spiritualmente e fisicamente schiavo del proprio lavoro, e in secondo luogo, si trasforma in una merce. Il lavoro, che dovrebbe essere un'attività che realizza l'uomo, distinguendolo dall'animale, si tramuta nell'esatto opposto: " il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale ". Come effetto del lavoro alienato l'uomo restringe così la propria libertà, e conseguentemente la propria umanità, soltanto alla sfera dei bisogni bestiali, al mangiare, al bere, al generare. Solo questi bisogni sono lasciati al potere del lavoratore.
Da quanto detto scaturisce anche una terza conseguenza: lo sconvolgimento del rapporto tra uomo e natura. L'uomo è nella sua essenza un ente che si pone consapevolmente in rapporto di continuità con la natura. Egli vive della natura e nella sua attività produttiva essa si palesa come opera dell'uomo e sua realtà. Quando però l'oggetto del lavoro dell'uomo gli viene sottratto, come appunto accade per l'alienazione, anche la natura gli viene sottratta. L'uomo smarrisce in tal modo l'originario legame con la natura, che diviene una forza a lui estranea e spesso opposta, e conseguentemente anche il corretto rapporto con se stesso.
Attraverso la critica dell'economia classica, Marx ha conseguito il risultato di individuare nei rapporti economici, la struttura portante della storia. Si è chiarito dunque che l'alienazione costituisce la condizione cui il lavoratore è sottoposto in questo tipo di società che è la società capitalistica."L'operaio non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato ma infelice..."(Opere filosofiche giovanili)


Critica al socialismo.


Anche il socialismo sembrerebbe essere arrivato a conclusioni simili. In ogni caso, sembrerebbe anche che tale movimento, per l'atteggiamento di critica alla società che lo contraddistingue, si trovi in una posizione di netto vantaggio rispetto all'hegelismo e all'economia classica. Tuttavia agli occhi di Marx, tale critica resta insufficiente. Portando alla luce la radice di tale insufficienza, il marxismo definisce un suo ulteriore carattere specifico: il suo essere un materialismo scientifico. Tre sono i tipi fondamentali di socialismo: il socialismo reazionario, il socialismo borghese conservatore e il socialismo critico utopistico.
Il primo, pur avendo diverse ramificazioni interne, ha in ogni caso un carattere storicamente reazionario. Esso si pone di fronte alla società borghese in atteggiamento critico, ne individua le contraddizioni, ma lo fa dal punto di vista della nostalgia per una società feudale o quanto meno con il metro del piccolo borghese e del piccolo contadino. Esponente di questa posizione è per esempio l'economista svizzero S. Sismondi (1773/1842), o il socialismo tedesco di derivazione "giovane hegeliana" di un Hess o di un Bauer.
Un secondo tipo di socialismo è quello borghese conservatore; Proudhon, il celebre autore di "Che cos'è la proprietà?" ne è il maggior esponente. Di questo tipo di socialismo, si può dire che difetti di reale senso storico e che per ciò aspiri ad eliminare gli inconvenienti della società borghese, senza voler giungere ad una eliminazione della società borghese. Esso non si avvede del fatto che ciò non è possibile, e non se ne avvede perché non spinge l'analisi storica fino alle sue ultime conseguenze. Parlando di Proudhon, contro cui scrisse " La miseria della filosofia ", in risposta alla sua " Filosofia della miseria " Marx scrive:

" In realtà egli fa ciò che fanno tutti i buoni borghesi. Essi vi dicono tutti che in via di principio, cioè come idee astratte, la concorrenza, il monopolio, ecc. sono le sole basi della vita, ma che in pratica lasciano molto a desiderare. Essi tutti desiderano la concorrenza senza i suoi tragici effetti. Essi tutti vogliono l'impossibile e cioè le condizioni di esistenza borghesi senza le conseguenze inevitabili di quelle condizioni".
(Lettera ad Annenkov)

Il terzo tipo di socialismo infine è quello critico utopistico. I suoi maggiori esponenti sono Babeuf, Saint Simon, Fourier, Owen. A ciascuno di questi Marx riconosce dei meriti, e in generale dei socialisti critico-utopistici si può dire che abbiano scorto nella storia sia l'antagonismo che esiste tra le classi sia gli elementi di contraddizione e di dissoluzione che sono presenti nella stessa società dominante. Essi tuttavia, non riconoscendo al proletariato nessuna attività storica autonoma, si pongono al disopra delle classi e fanno appello a tutti i membri della società, anche a quelli che godono delle posizioni di privilegio. Così si collocano in una posizione utopistica, i loro appelli restano pure esortazioni morali alla buona volontà, incapaci di trasformare realmente il mondo.
L'aspetto che accomuna queste diverse forme di socialismo è il ruolo politicamente conservatore che esse svolgono. Un ruolo che in molti casi va al di là delle intenzioni dei sostenitori di tali movimenti e che è dovuto, in sostanza, all'incapacità di indagare scientificamente la storia. Il rifiuto della società borghese resta così o nostalgia di un passato irrecuperabile, o vaga aspirazione a un mondo migliore, o sogno utopistico di una società perfetta. Contro tutto ciò, occorre far valere un'analisi, che, individuando scientificamente le contraddizioni esistenti nell'attuale società, indichi, non per via di desiderio, ma con il rigore che è proprio della scienza, la linea verso cui la società si sta evolvendo e mostri le potenzialità trasformatrici che essa tiene racchiuse in sé.


L'UMANESIMO DI MARX


La strada intrapresa da Marx dunque, ha mantenuto, portandoli ad un diverso livello di indagine e approfondimento, elementi hegeliani ed elementi feuerbachiani.
Più precisamente, possiamo dire schematicamente che se Hegel aveva scoperto il tema della storia, ma ne aveva fatto una storia capovolta, perché non aveva riconosciuto che il suo artefice è l'uomo e l'aveva invece trattata idealisticamente come il divenire dello Spirito, Feuerbach aveva scoperto l'uomo, ma in una prospettiva angustamente materialistica, incapace di riconoscere l'attività umana stessa come attività oggettiva e storica.
Il punto di vista materialistico di Marx, gli consente invece di tenere congiunti questi due elementi: la storia e l'uomo. Per lui infatti il richiamo alla storia ci pone di fronte all'uomo nel suo concreto operare; e naturalmente non all'uomo singolo e astratto, ma all'uomo sociale:

"L'uomo non è un essere astratto, isolato dal mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, lo stato, la società".
(Critica alla filosofia del diritto di Hegel)

L'elemento storico del marxismo, fin ora messo in evidenza, sarebbe insufficiente se non si congiungesse il tema umanistico. La lotta contro il capitalismo è infatti lotta contro la disumanizzazione radicale che in esso si trova.
L'alienazione, dunque, è smarrimento dell'uomo reale. Ora, proprio perché il programma che Marx fa suo è un programma di radicale trasformazione dei rapporti storici, esso mette capo all'uomo:

" Essere radicali significa cogliere le cose alla radice. Ma la radice dell'uomo è l'uomo stesso "
(L'ideologia tedesca).

La storia appare come il cammino dell'umanità che si comprende attraverso il proprio operare. Il compito che Marx si propone di realizzare, è pertanto quello di una promozione dell'autentica umanità. E' in nome dell'uomo infatti che si perviene all'imperativo categorico di

" rovesciare tutti i rapporti nei quali l'uomo è un essere degradato, asservito, abbandonato e spregevole "
(L'ideologia tedesca)

Parlare di questo imperativo categorico, che è espressione del giovane Marx, non significa ritornare indietro alle già condannate forme di materialismo utopistico. Piuttosto questo imperativo implica il riconoscimento che l'orizzonte ultimo entro il quale ha senso un discorso rivoluzionario è costituito dall'uomo. Combattere in nome dell'uomo, lottare per la sua liberazione, non significa fare la rivoluzione in nome di un ideale, ma riconoscere quel fatto, l'uomo, che è alla base di ogni tentativo di trasformazione del mondo. Anzi, proprio perché nella prospettiva marxista, l'uomo si realizza totalmente ed esclusivamente nel mondo, e proprio perché la dimensione comunitaria, sociale, politica è la dimensione fondamentale di ogni esperienza storica, il tema umanistico si congiunge a quello naturalistico. L'uomo è il mondo dell'uomo, ma la posizione potrebbe essere rovesciata: il mondo dell'uomo è l'uomo. L'uomo infatti si definisce proprio in base a ciò che egli fa ed è nel mondo.
In altre parole ciò significa riconoscere che l'umanesimo di Marx ci porta dinnanzi a un'immagine dell'uomo tutta racchiusa entro un'esistenza storica e mondana. L'ateismo marxista trova in ciò la sua più profonda giustificazione. Esso nasce dal rifiuto di ogni riferimento al trascendente.
Ciò che piuttosto appare in primo piano è la creatività trasformatrice dell'uomo, ed evidentemente non dell'uomo singolo, né della persona, ma piuttosto dell'uomo in quanto umanità.
E' infatti su questo aspetto sociale che l'accento dell'umanesimo marxiano batte prevalentemente. Si capisce quindi, in questa prospettiva, come proprio il lavoro, attività al tempo stesso naturale, creatrice e sociale, venga ad avere un ruolo preponderante nella definizione dell'uomo:

" Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale ".
(L'ideologia tedesca)

Definito così l'uomo, Marx ne ha fatto il concreto soggetto della storia, che non è più, come per Hegel, la storia dello Spirito assoluto, né, come per Feuerbach, la storia di un uomo astratto, privo di determinazioni storiche concrete. In tal modo, né il materialismo, né il carattere economico della sua dottrina, si configurano come elementi contraddittori rispetto all'umanesimo, ma costituiscono anzi la condizione perché quest'umanesimo non sia astratto ma reale.


LA STORIA COME LOTTA DI CLASSE


L'uomo è il soggetto della storia. Egli però lo è attraverso il proprio lavoro, quindi non come essere isolato, ma come essere sociale. In termini più precisi si può dire che l'uomo determini la storia in virtù del ruolo che in essa svolge, e questo ruolo dipende dalla classe cui egli appartiene.

" La storia di ogni società finora esistita è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra loro, hanno sempre sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese".
(Manifesto)

L'appartenenza ad una classe è determinata dal tipo di fonte da cui si trae il proprio reddito. In questa prospettiva il possedere o no una proprietà privata appare elemento decisivo: e in particolare nella società capitalistica è decisivo il possesso dei mezzi di produzione. Naturalmente nella storia la proprietà privata ha assunto diverse forme, è stata proprietà tribale, poi proprietà della comunità antica, poi proprietà feudale, e ora è proprietà capitalistica. Qualunque forma essa abbia assunto però, uguale è stata la conseguenza che ha prodotto; essa ha diviso l'umanità in oppressori ed oppressi.

" La moderna società borghese sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti tra le classi. Essa ha posto soltanto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche ".
(Manifesto)

Essa ha distinto tra capitalisti e proletari.
Affermare ciò tuttavia, non significa disconoscere il ruolo rivoluzionario che la borghesia ha svolto storicamente. Essa là dove è giunta al potere, ha distrutto le condizioni di vita feudali e ha rivoluzionato gli strumenti di produzione e quindi i rapporti ad essi connessi. In una parola ha rivoluzionato tutto l'insieme dei rapporti sociali. Essa ha sospinto l'uomo oltre il proprio isolamento locale e nazionale, ha trascinato nella civiltà anche le nazioni più barbare, ha assoggettato la campagna al dominio della città, ha superato il frazionamento economico e conseguentemente quello politico. Ha creato una società nuova, la moderna società borghese. Tuttavia, così facendo, evocando mezzi di produzione e di scambio così potenti e così nuovi, ha posto in movimento un processo che non riesce più neppure a controllare. Essa " rassomiglia allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate". Infatti proprio tutti quei mezzi che ha prodotto, le si rivoltano tra le mani e minacciano la sopravvivenza stessa della società borghese. Essa ha creato infatti anche gli uomini che useranno contro di lei quelle armi, ovvero l'insieme degli strumenti economici, che in precedenza essa aveva usato contro la società feudale: i proletari. Non solo, poichè per una legge interna al proprio sviluppo la borghesia produce sempre nuovi proletari e restringe progressivamente il numero dei capitalisti, ciò in base all'esigenza economica di una sempre maggiore concentrazione di capitali, essa ha fatto sì che la lotta del proletariato contro la borghesia divenisse la lotta "dell'enorme maggioranza nell'interesse dell'enorme maggioranza".
Il proletariato appare così l'unica classe veramente rivoluzionaria, l'unica classe capace di sovvertire l'ordine capitalistico e di sostituire ad esso non il predominio di una classe sull'altra, ma la compiuta liberazione dell'umanità. Il comunismo, sopprimendo la proprietà privata borghese, istituirà una società senza classi, rovesciando così "la base di tutti i rapporti di produzione e le forme di relazione finora esistite". Nel far questo esso porta a compimento le forze che già operano nella storia. Come ad un certo punto i rapporti feudali si dimostrarono un inceppo allo sviluppo della produzione e furono abbattuti, così anche ora lo sviluppo economico capitalistico entra in crisi, perchè i rapporti di produzione borghese, fondati sulla proprietà privata, vengono ad ostacolare un utilizzo delle risorse adeguato alla quantità ed alla qualità delle forze e delle capacità produttive messe in atto. Le contraddizioni della società borghese, contraddizioni che essa è incapace di risolvere, consentono così di prevedere con assoluta necessità e con una previsione non velleitaria ma scientifica, la realizzazione di uno stato di cose nuovo:

" Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente."
(L'ideologia tedesca)

Passando attraverso una fase intermedia in cui il proletariato si impadronisce dello stato e per prima cosa trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello stato, si giungerà alla soppressione di ogni differenza e di ogni antagonismo di classe e anche alla soppressione dello stato. Questo infatti nella società non comunista costituiva lo strumento necessario attraverso cui la classe dominante poteva presentarsi come rappresentante di tutta la società; ma lo stato, divenuto con la soppressione delle classi effettivamente il rappresentante di tutta la società, è superfluo: esso si estingue.
Con il superamento dell'alienazione e della divisione del lavoro, che sono caratteristiche del capitalismo, il comunismo realizzerà una società in cui teoria e prassi non saranno più disgiunte e in cui si avranno il vero umanesimo e il vero naturalismo. Questa particolare scissione, aveva infatti secondo Marx, una ben precisa origine storica. Dal momento in cui si è introdotta la divisione tra lavoro manuale e lavoro mentale, si è reso possibile alla coscienza di credersi qualcosa anche separatamente dal suo essere coscienza della prassi esistente. Si è aperta così la strada alla pura filosofia, alla pura teoria e anche al pregiudizio che questa pura attività spirituale sia superiore all'attività materiale. Conseguentemente, la teoria separata dalla prassi, è divenuta vuota teoria e poichè non poteva del tutto dimenticare la sua origine, ha finito per "mascherarla". La teoria è divenuta ideologia. La critica all'ideologia deve dunque trasformarsi in prassi rivoluzionaria. L'uomo non sarà più valutato in base a ciò che produce, come accade nell'odierno capitalismo, ma per ciò che è. Naturalmente con la realizzazione del comunismo non saranno modificate solo le condizioni economiche di vita, ma più generalmente tutte le condizioni di vita, sia quelle economiche che quelle sociali che quelle politiche. Anche le idee subiranno una trasformazione profonda. La società borghese evidentemente non ha potuto produrre altro che una cultura borghese. Infatti "le idee dominanti di un'epoca furono sempre soltanto le idee della classe dominante". Ora, poichè nella società borghese il dominio della borghesia poteva avvenire solo come predominio sul proletariato, ne consegue che anche la cultura borghese poteva realizzarsi solo in funzione di un'asservimento del proletariato. Nella società comunista invece la soppressione delle classi e l'abolizione del dominio di una classe sull'altra faranno nascere una cultura affatto nuova.
Viene qui in luce un tema, quello del rapporto fra struttura e sovrastruttura, che ha dato origine a molte discussioni nel marxismo. Da quanto si è detto risulta che la sovrastruttura, cioè l'insieme delle idee e degli istituti giuridici, religiosi, politici, filosofici di un'epoca, dipende direttamente, anzi deriva dalla struttura economica di quell'epoca. Anzi proprio già la denominazione di struttura e sovrastruttura suggerisce questa dipendenza della seconda dalla prima. Altri passi di Marx chiariscono questa affermazione, mostrando come gli elementi sovrastrutturali non siano un puro riflesso della struttura economica, ma come intervengano anch'essi a condizionarla e modificarla. Ciò che qui Marx vuole escludere radicalmente è un'indipendenza degli elementi sovrastrutturali, indipendenza che sarebbe nient'altro che idealismo.
Marx ha così compiutamente delineato la propria visione della storia. In essa l'uomo che lavora è il soggetto di un divenire che si realizza tramite un contrasto i cui elementi vanno ricondotti alla loro origine economica. Appare chiaro come, nell'affermare ciò, egli si richiami a Hegel. Anche per lui, come per il pensatore idealista, la storia procede attraverso un divenire dialettico. Tuttavia il modo marxiano di concepire la dialettica è diverso. Rovesciando l'idealismo hegeliano e sostituendovi il proprio materialismo, Marx ha riempito di contenuti concreti la dialettica di Hegel. Ciò ha significato anche una diversa accentuazione dei suoi momenti. Non prevale più, idealisticamente, il momento della conciliazione, ma, realisticamente, quello della negazione del contrasto. Il motore della storia è la lotta, la negazione dell'ordine passato, la prassi rivoluzionaria. Così intesa la dialettica non è più uno strumento reazionario, bensì rivoluzionario; anzi lo strumento scientifico che, muovendo dalle contraddizioni presenti, che in ultima analisi si possono ricondurre alla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, ci consente di prevedere i successivi sviluppi rivoluzionari e di sollecitare perciò, secondo la celebre frase con cui termina il Manifesto, i proletari di tutto il mondo a unirsi in vista della rivoluzione. Nell'Ideologia tedesca, Marx aveva infatti rivendicato la scientificità della sua dottrina, intesa come oggettività rigorosa, non condizionata da presupposti arbitrari.


IL MANIFESTO


Engels Il Manifesto del partito comunista venne pubblicato nel 1848 mentre in Francia avveniva la rivoluzione. Pur essendo un testo breve, divenne molto famoso e fu per questo tradotto in moltissime lingue. Redatto da Marx con la collaborazione di Engels su incarico della Lega dei comunisti, che si autodefinì "Associazione internazionale dei lavoratori", nel 1847 quest'ultima adottò uno statuto nel cui primo articolo si affermava:

"Il fine della Lega è il rovesciamento della borghesia, il dominio del proletariato, l'abolizione della vecchia società borghese fondata su antagonismi di classe, e la fondazione di una nuova società, senza classi e senza proprietà privata".

E' appunto sulla borghesia che si incentra l'interesse di Marx. Ed è sempre la borghesia, la classe sociale da rovesciare poichè la molteplicità dei ceti e delle classi, propria della condizione sociale che precede la vittoria della borghesia e del sistema produttivo dell'industria moderna, stà manifestandosi via via, con la polarizzazione di tutta la società in due sole classi sociali contrapposte sulle quali le altre vanno scemando: i borghesi e i proletari, e più precisamente i detentori del capitale, ed i lavoratori.
Nel Manifesto dunque si analizza la borghesia in quanto, mettendone in luce il carattere rivoluzionario, che ha saputo far mutare i precedenti meccanismi di produzione, e le precedenti organizzazioni della società e dello stato, ma anche il suo dinamismo, che le ha permesso di affermare il proprio successo su un elevato incremento del processo produttivo e sulla rapidissima evoluzione tecnologica.
I meccanismi della libera concorrenza e della libertà d'impresa su cui si fonda il sistema capitalista generano una continua tensione produttiva e una costante concorrenza all'interno del mercato, che tende ad allrgarsi sempre di più fino ad abbattere le vecchie frontiere e a creare un unico spazio economico a livello planetario.

"La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria [...] la borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali. [...] Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi".

Ma la borghesia non può crescere e trionfare senza rafforzare, nello stesso tempo, la classe operaia, sua antagonista. La logica del processo produttivo impone, dialetticamente, che al crescere dell'industria aumenti il numero degli operai salariati, i quali tendono a darsi un'organizzazione di classe proprio in ragione della loro forza all'interno del sistema. Lo stesso movimento economico che ha portato alla vittoria la borghesia attraverso un complesso di rivoluzioni economiche e politiche avrà dunque come suo esito storico il crollo della borghesia. La dinamica economica di questa parabola è assai complessa e Marx la studia nelle sue opere di economia politica. La direzione del movimento storico è comunque per Marx del tutto semplice. La classe proletaria, infatti, è oggi la classerivoluzionaria per eccellenza. Tutte le classi che appartengono alle epoche precedenti, il ceto medio, l'artigiano, il contadino, combattono la borghesia da posizioni ormai superate dalla storia: il sistema industriale ha vinto e le ha eliminate. Esse, scrive Marx, "tentano di far girare all'indietro la ruota della storia". Solo la classe proletaria segue invece pienamente il movimento della storia, perchè è figlia del sistema produttivo vincente e sua indispensabile condizione d'esistenza.
Di fronte alle crisi economiche a cui la borghesia va incontro, il proletario, presa coscienza della sua forza creerà una nuova situazione economico-sociale. Esso non si costituirà come classe dominante sulle altre, ma opererà economicamente e politicamente per la eliminazione delle classi. Opererà cioè per il radicale superamento di tutti quei caratteri della produzione che generano la lacerazione dell'uomo in se stesso, la sua estraneazione attraverso il lavoro, la sua alienazione economica. Verranno eliminate la divisione del lavoro e la proprietà privata, e saranno poste le basi di un nuovo e pieno umanesimo: l'uomo integrale sarà restituito a se stesso, realizzando il sogno che era stato di Rousseau (con la sua società organica fondata sulla volontà generale) e di Hegel.
Per realizzare questo obiettivo sarà necessario che il proletariato divenga classe generale, assorbendo in sè le altre classi, e si giunca alla società comunista attraverso fasi di transizione. Sarà in particolare necessario che il proletariato assuma la guida del processo rivoluzionario con la dittatura del proletariato, come strumento per la abolizione delle differenze di classe attraverso l'eliminazione della radice economica da cui esse nascono.
Su questo fondamento saranno completamente ricoluzionati i rapporti politici. Lo Stato non sarà più l'espressione degli interessi di classe. I rapporti sociali e le libere relazioni umane sostituiranno le strutture politiche borghesi. Poichè l'antagonismo tra le classi deriva dalla struttura del sistema della produzione e dai rapporti di produzione, Marx è convinto che la soppressione della proprietà privata e l'instaurazione del comunismo elimineranno la conflittualità sociale, l'opposizione degli interessi individuali e gli scopi discordanti dell'azione collettiva degli uomini. Per conseguenza il sistema politico non sarà più strutturato come strumento di realizzazione di alcuni scopi contro altri ed anzi la politica, intesa come conflitto e nello stesso tempo come strumento di composizione del conflitto, sparirà. Il parlamentarismo borghese si fonda sul principio che gli interessi individuali possano trovare un punto di convergenza nella formazione di un governo, espressione della maggioranza, nel rispetto delle regole del gioco politico accettate da tutti, ivi comprese le forze che si collocano all'opposizione. Lo Stato è però pensato all'interno di un sistema di conflitti, in cui l'eguaglianza giuridica dei cittadini è solo astratta: per Marx si tratta in realtà di una finzione, perchè ad una eguaglianza di principio, sancita dal diritto, corrispondono diseguaglianze di fatto che il sistema politico concorre a perpetuare. Per questo motivo la classe proletaria che prende il potere non può semplicemente mutare forma di governo e prendere possesso della macchina statale borghese, con la sua burocrazia e i suoi apparati: deve invece spezzarla, dissolvere in essa l'elemento conflittuale che vi è implicito. Marx pensa ad una società in cui i produttori possano autogovernarsi, in cui gli uomini, liberamente associati possano auto-amministrarsi. Vede quindi l'apparato burocratico dello stato come un elemento negativo, perchè crea una frattura tra produttore e governo, impone la mediazione di un enorme e incontrollabile macchina tecnico-amministrativa che possiede una sua logica oggettiva e persegue interessi generali distaccati dai veri interessi dei produttori. Lo Stato non può continuare a detenere un potere di questo tipo, perchè, se così fosse, sarebbe sottratto agli uomini l'effettivo controllo del potere sulla loro vita e si perpetuerebbe la situazione di lacerazione e di estraneazione che si osserva nella società borghese.
Scrive Marx nel Manifesto:

"Quando, nel corso dell'evoluzione, le differenze di classe saranno sparite e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere pubblico perderà il carattere politico. Il potere politico, nel senso proprio della parola è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato, nella lotta contro la borghesia, si costituisce necessariamente in classe, e per mezzo della rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante e, come tale, distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce, insieme con questi rapporti di produzione, anche le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe. Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi di classe subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti".

Una società senza classi è, secondo Marx, nel futuro degli uomini, per necessità storica. La conoscenza scientifica della dinamica dell'economia politica lo mostra. Il socialismo non è un'aspirazione del cuore: la storia, oggettivamente, si muove nella direzione della società comunista.


Bibliografia:


  • Mario Trombino, Poseidonia, 1997, La ricerca contemporanea volume 3°, da pag. 404 a pag. 449
  • Nereo Tabaroni, Paravia, 1989, Sentieri della filosofia da pag. 16 a pag. 39
  • I dossier Mondadori, Mondadori,1972, Pro e contro, Marx, da pag. 22 a pag. 34
  • Vincenzo Vitello, Editori riuniti, 1975, Lavoro salariato, da pag. 7 a pag. 27
  • Nicola Abbagnano, Tea Utet, Dizionario di filosofia