| PRECARIAMENTE
      a scuola: pagine di riflessione e lotta | 
  
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    dal 22 maggio 2008
      
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    ultimo aggiornamento  28-06-2008 
          
    Costituente Comitato
    Precari della Scuola Liguria
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    |  |   Questa
      pagina, a cura del Costituente Comitato Precari della Liguria, propone una
      riflessione sullo stato della scuola, sull'emergenza educativa e
      sull'irrisolto problema del precariato.  Attraverso la partecipazione
      diretta dei lettori si vuole elaborare un manifesto per la scuola di
      tutti da condividere e da portare avanti nelle sedi più opportune.
      Questo spazio rimarrà aperto per il tempo necessario alla comune
      elaborazione dopo di che sarà a disposizione per la sottoscrizione da
      parte dei lettori e delle associazioni che si riconosceranno in
      esso.  Visita spesso il sito per vedere gli aggiornamenti Per
      i tuoi suggerimenti o le tue critiche o per le adesioni al Comitato vai in  fondo alla pagina Le parti
      nel testo evidenziate in rosso sono integrazioni ricevute dai lettori
      che  ringraziamo per l'attiva
      collaborazione  CHIUSURA
      DELLA FASE DI ELABORAZIONE AL 30/06/2008   |  | 
  
    |  | Revisione del
      28-06-2008 MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  | INDICE: PARTE
      PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO PARTE
      SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA
      SCUOLA DI TUTTI   2.1..................
      I tagli al bilancio 2.2..................
      La questione degli organici 2.2.1...............
      Il modello includente italiano 2.2.2................La
      geomorfologia del territorio 2.2.3................Il
      tempo pieno 2.2.4...............
      La religione a scuola 2.2.5................Conclusioni
      sulla questione degli organici 2.3..................
      Lo status sociale ed economico del personale docente 2.4..................
      La formazione del precariato 2.4.1................Lo
      stato di precarietà   PARTE
      TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA   3.1..................L'organico
      funzionale 3.2..................Ruolo
      delle O.O.S.S.   PARTE
      IV:  RIVENDICAZIONI   Indice
      delle Tavole:   Tavola
      1 - Stipendi
              medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
              dopo 15 anni di anzianità  Tavola
      2 - Dieci
            anni di precariato nella scuola statale       PARTE
      PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non solo  nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, ma
      anche nell’alternanza e nell’avvicendarsi,
      con il proprio bagaglio umano e professionale,
      di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 
 PARTE
      SECONDA: INDIVIDUAZIONE
      DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA'
      DEL SISTEMA 
      SCOLASTICO ITALIANO Individuiamo
      in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto
      scuola sia agli organici le principali
      cause dell'emergenza educativa in atto.     
      2.1)
      I TAGLI AL BILANCIO
 Gli insoddisfacenti risultati,
      resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente  attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima. Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 2.2)
      LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3.  2.2.1)
      IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione  anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo,
      da circa 30 anni,
      abolito le  ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che
      il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una
      misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti,
      laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia.
      A
      smentire le statistiche di un organico sovradimensionato ricordiamo che
      circa 160.000 alunni diversamente abili hanno beneficiato della
      professionalità di circa 90.000 insegnanti di sostegno ( Rapporto -
      Scuola in cifre - MIUR luglio 2005) di
      cui la metà precaria. 
      La legislazione
      scolastica italiana peraltro si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti” 
      Nel resto
      dell’Europa gli alunni diversamente abili frequentano scuole speciali. Pertanto
      gli operatori che se ne occupano non vanno ad aumentare il numero dei
      docenti. Solo in Francia per questi ragazzi viene destinato un organico di
      280.000 operatori sociali, che appartengono comunque ad amministrazioni
      diverse dalla scuola. 
      
      2.2.2)
      LA GEOMORFOLOGIA DEL TERRITORIO 
      Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda. 2.2.3)
      IL TEMPO PIENO   Inoltre
      l'Italia beneficia di un superiore numero di ore di insegnamento rispetto
      ad altri paesi per la richiesta di tempo pieno e prolungato necessario e
      richiesto dalle famiglie che altrimenti dovrebbero sottrarre energie al
      lavoro,  al reddito e allo sviluppo del Paese. Da noi circa
      il 35% della scuola primaria - finché si riuscirà a resistere agli
      evidenti tentativi di smantellamento - funziona a tempo pieno (con 70.000
      insegnanti in più rispetto al tempo normale) 2.2.4)
      LA RELIGIONE A SCUOLA  Evidenziamo
      inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi
      occidentali,  annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di
      tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito,
      le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984
      inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa: 
        
          la
          religione cattolica non è più la religione di Stato
          l'insegnamento
          della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto
          facoltativo
          il
          finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene
          sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli. Tale
      personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su
      segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale
      che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto
      tramite procedura concorsuale. Evidenziamo che nella Scuola
      italiana vi sono 25.679 insegnanti di religione cattolica
      (di cui 14.670 di ruolo) che vanno a gonfiare l'organico di diritto.   2.2.5)
      CONCLUSIONI SULLA QUESTIONE DEGLI ORGANICI   La
      Scuola nel 2005-2006 necessitava di 737.250 docenti sull'organico di
      diritto. A questo numero, insufficiente per garantire il diritto allo
      studio di tutti andavano aggiunti circa 120.000 - 130.000 docenti a tempo
      determinato (organico di fatto). Si raggiungeva quindi la cifra di circa
      850.000 docenti. A questo numero però va sottratta la cifra di quelli
      destinati all'insegnamento della religione cattolica (25.687), la cifra
      degli insegnanti di sostegno (circa 90.000) e la cifra destinata al tempo
      pieno (circa 70.000).   Quindi
      se al numero complessivo dei docenti (organico di diritto più organico di
      fatto) sottraiamo il numero di quelli che caratterizzano il nostro sistema
      scolastico (docenti di sostegno, di religione, per il tempo pieno)
      otteniamo una cifra ben minore di quella comparata con gli altri sistemi
      europei (circa 664.000).  Inoltre a questo numero andrebbe sottratta
      la quota, non facilmente rilevabile dei docenti impiegati nelle piccole
      isole e nelle località di montagna.  
      2.3)
      LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e  nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.  In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
      superiore nei paesi UE. Tavola
      1 
          
            | Stipendi
              medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
              dopo 15 anni di anzianità |  
            | Svizzera | Olanda | Germania | Belgio | Scozia | Danimarca | Irlanda | Inghilterra | Finlandia | Spagna | Austria | Norvegia | Svezia | Francia | Italia | Portogallo | Grecia |  
            | 56.500 | 49.400 | 44.400 | 42.200 | 38.300 | 38.100 | 37.500 | 35.200 | 34.800 | 34.200 | 31.800 | 30400 | 27.400 | 27.300 | 26.400 | 25.900 | 25.300 |  
          | Media
            OCSE | 34.800 |  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. 2.4)
      FORMAZIONE DEL PRECARIATO Per
      quanto concerne la
      formazione del precariato questa avviene in quanto le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accadrà che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola. 
       
      
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari?
 I
      docenti precari, non sono insegnanti di risulta 
      ne' parcheggiatori abusivi, sono professionisti
      abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi
      ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di
      insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane. 
Non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 Per
      risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
      politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
      contratti a tempo indeterminato.
      
 
       
      2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'
      
      
       
 
 Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza. Il
      sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
      squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
      multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
      l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
      punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
      di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
      più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
      di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
      e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
      esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
      privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
      possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. 
       La
      precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
      perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
      svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
      patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
      istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
      aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
      difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
      italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
      ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
      continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
      lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza. 
        
       PARTE
      TERZA:  PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA 3.1)
      ORGANICO FUNZIONALE  Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
      funzionale  provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.  Inoltre
      nell'ottica della percentuale di ore curricolari destinate all'autonomia
      didattica dei singoli istituti è altresì necessario prevedere un organico
      funzionale di istituto da dove attingere le professionalità
      necessarie alla realizzazione concreta dell'autonomia scolastica
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
      il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo,
      il
      primo non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.  Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 3.2)
      RUOLO DELLE O.O.S.S.
 Occorre che le
      O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.  Tavola
      2 
        Ogni
      sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su
      845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
      tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
      didattiche (119.893).
          | Dieci
            anni di precariato nella scuola statale | Elaborazione Tuttoscuola su dati
            Miur 2008 |  
          | 
              
                | Settori
                  scolastici
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | Infanzia
                  
                   | 5,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  7,5
                  
                   |  
                | Primaria
                  
                   | 5,9%
                  
                   | 12,9%
                  
                   | +
                  7,0
                  
                   |  
                | I
                  grado
                  
                   | 7,0%
                  
                   | 21,0%
                  
                   | +
                  14,0
                  
                   |  
                | II
                  grado
                  
                   | 12,4%
                  
                   | 19,1%
                  
                   | +
                  6,7
                  
                   |  
                | personale
                  educativo
                  
                   | 13,5%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | -
                  0,8
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  | 
              
                | Aree
                  geografiche
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | nord
                  ovest
                  
                   | 10,7%
                  
                   | 19,7%
                  
                   | +
                  9,0
                  
                   |  
                | nord
                  est
                  
                   | 9,5%
                  
                   | 20,3%
                  
                   | +
                  10,8
                  
                   |  
                | Centro
                  
                   | 6,9%
                  
                   | 17,6%
                  
                   | +
                  10,7
                  
                   |  
                | Sud
                  
                   | 6,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Isole
                  
                   | 9,0%
                  
                   | 15,5%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  |  E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve essere reso
      più incisivo (sciopero ad oltranza), lo
      sciopero  bianco
      consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
      teso ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per collassare. Per
      fare soltanto degli esempi di ciò che si
      è prospettato nelle
      scuole e nelle assemblee si potrebbero attuare le seguenti misure:
       
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire,
          quando non si è in servizio
          con
          ore eccedenti, i colleghi assenti 
          rifiuto
          del personale docente di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
          proprie.
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo
          in
          quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
          scuola.  
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
          la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
          scrivendo ai politici, ecc.  
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente
      
       motivato
      
      
      nell'ottica di
 un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
       CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Maggiore
          dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
          Recessione
          da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
          tutti
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e
          immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti. 
          Stessi
          diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
          precario
       
        Torna
          su
        
        
     |  | 
  
    |  | Revisione del
      26-06-2008 MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |     INDICE: PARTE
      PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO PARTE
      SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA
      SCUOLA DI TUTTI   2.1..................
      I tagli al bilancio 2.2..................
      La questione degli organici 2.2.1...............
      Il modello includente italiano 2.2.2...............
      La religione a scuola 2.3..................
      Lo status sociale ed economico del personale docente 2.4..................
      La formazione del precariato 2.4.1................Lo
      stato di precarietà   PARTE
      TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA   3.1..................L'organico
      funzionale 3.2..................Ruolo
      delle O.O.S.S.   RICHIESTE   Indice
      delle Tavole:   Tavola
      1 - Stipendi
              medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
              dopo 15 anni di anzianità Tavola
      2 - Dieci
            anni di precariato nella scuola statale       PARTE
      PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non
  tantosolo
    nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensìma  
      anche
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi,
      con il proprio bagaglio umano e professionale,
      di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 
 PARTE
      SECONDA: INDIVIDUAZIONE
      DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA'
      DEL SISTEMA 
      SCOLASTICO ITALIANO Individuiamo
      in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto
      scuola sia agli organici le principali
      cause dell'emergenza educativa in atto.     
      2.1)
      I TAGLI AL BILANCIO
 Gli insoddisfacenti risultati,
      resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente  attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima. Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 2.2)
      LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3.  2.2.1)
      IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione 
      anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo,
      da circa 30 anni,
      abolito le  ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che
      il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una
      misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti,
      laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia.
      A
      smentire le statistiche di un organico sovradimensionato ricordiamo che
      circa 160.000 alunni diversamente abili hanno beneficiato della
      professionalità di circa 90.000 insegnanti di sostegno ( Rapporto -
      Scuola in cifre - MIUR luglio 2005). 
      La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti” 
      
      Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda. Inoltre
      l'Italia beneficia di un superiore numero di ore di insegnamento rispetto
      ad altri paesi per la richiesta di tempo pieno e prolungato necessario e
      richiesto dalle famiglie che altrimenti dovrebbero sottrarre energie al
      lavoro,  al reddito e allo sviluppo del Paese. 2.2.2)
      LA RELIGIONE A SCUOLA  Evidenziamo
      inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi
      occidentali,  annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di
      tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito,
      le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984
      inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa: 
        
          la
          religione cattolica non è più la religione di Stato
          l'insegnamento
          della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto
          facoltativo
          il
          finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene
          sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli. Tale
      personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su
      segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale
      che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto
      tramite procedura concorsuale.  
      2.3)
      LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.  In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
      superiore nei paesi UE. Tavola
      1 
          
            | Stipendi
              medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
              dopo 15 anni di anzianità |  
            | Svizzera | Olanda | Germania | Belgio | Scozia | Danimarca | Irlanda | Inghilterra | Finlandia | Spagna | Austria | Norvegia | Svezia | Francia | Italia | Portogallo | Grecia |  
            | 56.500 | 49.400 | 44.400 | 42.200 | 38.300 | 38.100 | 37.500 | 35.200 | 34.800 | 34.200 | 31.800 | 30400 | 27.400 | 27.300 | 26.400 | 25.900 | 25.300 |  
          | Media
            OCSE | 34.800 |  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. 2.4)
      FORMAZIONE DEL PRECARIATO Per
      quanto concerne la
      formazione del precariato questa avviene in quanto le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola. 
       
      
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari?
 I
      docenti precari, non sono insegnanti di risulta, sono professionisti
      abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi
      ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di
      insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.  
 Non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 Per
      risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
      politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
      contratti a tempo indeterminato.
      
 
       
       
      2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'
      
 
      
       
       
 Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza. Il
      sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
      squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
      multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
      l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
      punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
      di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
      più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
      di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
      e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
      esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
      privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
      possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. 
       La
      precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
      perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
      svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
      patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
      istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
      aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
      difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
      italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
      ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
      continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
      lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza. 
        
       PARTE
      TERZA:  PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA 3.1)
      ORGANICO FUNZIONALE  Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.  Inoltre
      nell'ottica della percentuale di ore curricolari destinate all'autonomia
      didattica dei singoli istituti è altresì necessario prevedere un organico
      funzionale di istituto da dove attingere le professionalità
      necessarie alla realizzazione concreta dell'autonomia scolastica
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
      il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo,
      il
      primo non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 3.2)
      RUOLO DELLE O.O.S.S.
 Occorre che le
      O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.  Tavola
      2 
        Ogni
      sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su
      845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
      tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
      didattiche (119.893).
          | Dieci
            anni di precariato nella scuola statale | Elaborazione Tuttoscuola su dati
            Miur 2008 |  
          | 
              
                | Settori
                  scolastici
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | Infanzia
                  
                   | 5,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  7,5
                  
                   |  
                | Primaria
                  
                   | 5,9%
                  
                   | 12,9%
                  
                   | +
                  7,0
                  
                   |  
                | I
                  grado
                  
                   | 7,0%
                  
                   | 21,0%
                  
                   | +
                  14,0
                  
                   |  
                | II
                  grado
                  
                   | 12,4%
                  
                   | 19,1%
                  
                   | +
                  6,7
                  
                   |  
                | personale
                  educativo
                  
                   | 13,5%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | -
                  0,8
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  | 
              
                | Aree
                  geografiche
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | nord
                  ovest
                  
                   | 10,7%
                  
                   | 19,7%
                  
                   | +
                  9,0
                  
                   |  
                | nord
                  est
                  
                   | 9,5%
                  
                   | 20,3%
                  
                   | +
                  10,8
                  
                   |  
                | Centro
                  
                   | 6,9%
                  
                   | 17,6%
                  
                   | +
                  10,7
                  
                   |  
                | Sud
                  
                   | 6,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Isole
                  
                   | 9,0%
                  
                   | 15,5%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  |  E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve essere reso
      più incisivo
      
      (sciopero ad oltranza), lo
      sciopero  bianco
      consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
      teso ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per collassare. Per
      fare
      
      soltanto
      
       degli esempi di ciò che si
      è prospettato nelle
      scuole e nelle assemblee si potrebbero attuare le seguenti misure:
       
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire,
          quando non si è in servizio
          con
          ore eccedenti, i colleghi assenti 
          rifiuto
          del personale docente di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
          proprie.
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo
          in
          quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
          scuola.  
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
          la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
          scrivendo ai politici, ecc.  
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente
       motivato
      
      
      
      nell'ottica di
 un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
       CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Maggiore
          dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
          Recessione
          da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
          tutti
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e
          immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti. 
          Stessi
          diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
          precario
       
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       |  | 
  
    |  | Revisione del
      
      22-06-2008 MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   INDICE: PARTE
      PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO PARTE
      SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA
      SCUOLA DI TUTTI   2.1..................
      I tagli al bilancio 2.2..................
      La questione degli organici 2.2.1...............
      Il modello includente italiano 2.2.2...............
      La religione a scuola 2.3..................
      Lo status sociale ed economico del personale docente 2.4..................
      La formazione del precariato 2.4.1................Lo
      stato di precarietà   PARTE
      TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA   3.1..................L'organico
      funzionale 3.2..................Ruolo
      delle O.O.S.S.   RICHIESTE         PARTE
      PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 
 PARTE
      SECONDA: INDIVIDUAZIONE
      DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA'
      DEL SISTEMA
      SCOLASTICO ITALIANO Individuiamo
      in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto
      scuola sia agli organici le principali
      cause dell'emergenza educativa in atto.   
      2.1)
      I TAGLI AL BILANCIO
 Gli insoddisfacenti risultati,
      resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima. Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 2.2)
      LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3.  2.2.1)
      IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione 
      anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo,
      da circa 30 anni,
      abolito le  ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che
      il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una
      misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti,
      laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 2.2.2)
      LA RELIGIONE A SCUOLA  Evidenziamo
      inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi
      occidentali,  annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di
      tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito,
      le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984
      inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa: 
        
          la
          religione cattolica non è più la religione di Stato
          l'insegnamento
          della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto
          facoltativo
          il
          finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene
          sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli. Tale
      personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su
      segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale
      che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto
      tramite procedura concorsuale.  
      2.3)
      LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola  
      lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.  In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
      superiore nei paesi UE. 
          
            | Stipendi
              medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
              dopo 15 anni di anzianità |  
            | Svizzera | Olanda | Germania | Belgio | Scozia | Danimarca | Irlanda | Inghilterra | Finlandia | Spagna | Austria | Norvegia | Svezia | Francia | Italia | Portogallo | Grecia |  
            | 56.500 | 49.400 | 44.400 | 42.200 | 38.300 | 38.100 | 37.500 | 35.200 | 34.800 | 34.200 | 31.800 | 30400 | 27.400 | 27.300 | 26.400 | 25.900 | 25.300 |  
          | Media
            OCSE | 34.800 |  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. 2.4)
      FORMAZIONE DEL PRECARIATO Per
      quanto concerne la
      formazione del precariato
      
      questa avviene in quanto 
      le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari?
 
 Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
       I
      docenti precari, non sono insegnanti di risulta, sono professionisti
      abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi
      ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di
      insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.  
 
      Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e  Non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 
 
      Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 
 
      3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 Per
      risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
      politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
      contratti a tempo indeterminato.
      
 
       
      2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'
 
      
       
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza. Il
      sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
      squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
      multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
      l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
      punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
      di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
      più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
      di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
      e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
      esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
      privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
      possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. 
       La
      precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
      perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
      svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
      patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
      istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
      aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
      difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
      italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
      ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
      continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
      lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza. 
       PARTE
      TERZA:  PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA 3.1)
      ORGANICO FUNZIONALE  Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
      il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo, il
      primo non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 3.2)
      RUOLO DELLE O.O.S.S.
 Occorre che le
      O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.  
        Ogni
      sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su
      845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
      tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
      didattiche (119.893).
          | Dieci
            anni di precariato nella scuola statale | Elaborazione Tuttoscuola su dati
            Miur 2008 |  
          | 
              
                | Settori
                  scolastici
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | Infanzia
                  
                   | 5,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  7,5
                  
                   |  
                | Primaria
                  
                   | 5,9%
                  
                   | 12,9%
                  
                   | +
                  7,0
                  
                   |  
                | I
                  grado
                  
                   | 7,0%
                  
                   | 21,0%
                  
                   | +
                  14,0
                  
                   |  
                | II
                  grado
                  
                   | 12,4%
                  
                   | 19,1%
                  
                   | +
                  6,7
                  
                   |  
                | personale
                  educativo
                  
                   | 13,5%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | -
                  0,8
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  | 
              
                | Aree
                  geografiche
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | nord
                  ovest
                  
                   | 10,7%
                  
                   | 19,7%
                  
                   | +
                  9,0
                  
                   |  
                | nord
                  est
                  
                   | 9,5%
                  
                   | 20,3%
                  
                   | +
                  10,8
                  
                   |  
                | Centro
                  
                   | 6,9%
                  
                   | 17,6%
                  
                   | +
                  10,7
                  
                   |  
                | Sud
                  
                   | 6,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Isole
                  
                   | 9,0%
                  
                   | 15,5%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  |  E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve essere reso
      più incisivo, lo
      sciopero  bianco
      consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
      teso ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per collassare. Per
      fare degli esempi nelle
      scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
      è parlato
      di nuove forme di lotta,
      come: 
      
      
       
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire,
          quando non si è in servizio
          con
          ore eccedenti, i colleghi assenti 
          rifiuto
          del personale docente di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
          proprie.
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo
          in
          quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
          scuola.  
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
          la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
          scrivendo ai politici, ecc.  
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente
       motivato
      
      
      
      nell'ottica di
 un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
       CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Maggiore
          dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
          Recessione
          da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
          tutti
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e
          immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti. 
          Stessi
          diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
          precario
       
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     |  | 
  
    |  | Revisione
      del 15-06-2008 MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
      superiore nei paesi UE. 
          
            | Stipendi
              medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
              dopo 15 anni di anzianità |  
            | Svizzera | Olanda | Germania | Belgio | Scozia | Danimarca | Irlanda | Inghilterra | Finlandia | Spagna | Austria | Norvegia | Svezia | Francia | Italia | Portogallo | Grecia |  
            | 56.500 | 49.400 | 44.400 | 42.200 | 38.300 | 38.100 | 37.500 | 35.200 | 34.800 | 34.200 | 31.800 | 30400 | 27.400 | 27.300 | 26.400 | 25.900 | 25.300 |  
          | Media
            OCSE | 34.800 |  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. Per
      quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
 
 Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
 4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 Per
      risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
      politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
      contratti a tempo indeterminato.
      
      
 
      
      La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza. Il
      sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
      squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
      multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
      l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
      punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
      di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
      più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
      di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
      e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
      esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
      privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
      possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. La
      precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
      perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
      svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
      patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
      istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
      aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
      difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
      italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
      ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
      continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
      lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
       Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
      il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di
      ruolo, il
      primo non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.
 
        Ogni
      sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su
      845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
      tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
      didattiche (119.893).
          | Dieci
            anni di precariato nella scuola statale | Elaborazione Tuttoscuola su dati
            Miur 2008 |  
          | 
              
                | Settori
                  scolastici
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | Infanzia
                  
                   | 5,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  7,5
                  
                   |  
                | Primaria
                  
                   | 5,9%
                  
                   | 12,9%
                  
                   | +
                  7,0
                  
                   |  
                | I
                  grado
                  
                   | 7,0%
                  
                   | 21,0%
                  
                   | +
                  14,0
                  
                   |  
                | II
                  grado
                  
                   | 12,4%
                  
                   | 19,1%
                  
                   | +
                  6,7
                  
                   |  
                | personale
                  educativo
                  
                   | 13,5%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | -
                  0,8
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  | 
              
                | Aree
                  geografiche
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | nord
                  ovest
                  
                   | 10,7%
                  
                   | 19,7%
                  
                   | +
                  9,0
                  
                   |  
                | nord
                  est
                  
                   | 9,5%
                  
                   | 20,3%
                  
                   | +
                  10,8
                  
                   |  
                | Centro
                  
                   | 6,9%
                  
                   | 17,6%
                  
                   | +
                  10,7
                  
                   |  
                | Sud
                  
                   | 6,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Isole
                  
                   | 9,0%
                  
                   | 15,5%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  |  E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve essere reso
      più incisivo, lo
      sciopero  bianco
      consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
      teso ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per collassare. Per
      fare degli esempi nelle
      scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
      è parlato
      di nuove forme di lotta,
      come: 
      
      
       
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire,
          quando non si è in servizio
          con
          ore eccedenti, i colleghi assenti 
          rifiuto
          del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
          proprie.
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo
          in
          quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
          scuola.  
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
          la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
          scrivendo ai politici, ecc.  
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente
       motivato
      
      
      
      nell'ottica di
 un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
       CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Maggiore
          dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
          Recessione
          da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
          tutti
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 
          Stessi
          diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
          precario
          
        Eliminazione
          dalle GE di coloro che:
       
          non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
      Scuola privata o in altri impieghi
            o almeno differenziazione dei diritti. 
          
          
          hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
          
          
          pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti    sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra o di ruoloTorna
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     |  | 
  
    |  | Revisione
      del 13-06-2008   MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
      superiore nei paesi UE. 
        
        
          
            | Stipendi
              medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
              dopo 15 anni di anzianità |  
            | Svizzera | Olanda | Germania | Belgio | Scozia | Danimarca | Irlanda | Inghilterra | Finlandia | Spagna | Austria | Norvegia | Svezia | Francia | Italia | Portogallo | Grecia |  
            | 56.500 | 49.400 | 44.400 | 42.200 | 38.300 | 38.100 | 37.500 | 35.200 | 34.800 | 34.200 | 31.800 | 30400 | 27.400 | 27.300 | 26.400 | 25.900 | 25.300 |  
          | Media
            OCSE | 34.800 |  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. Per
      quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
 
 Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
 4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 
 
      La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.  Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
       Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, 
       il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.  Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.
 
        Ogni
      sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su
      845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
      tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
      didattiche (119.893).
          | Dieci
            anni di precariato nella scuola statale | Elaborazione Tuttoscuola su dati
            Miur 2008 |  
          | 
              
                | Settori
                  scolastici
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | Infanzia
                  
                   | 5,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  7,5
                  
                   |  
                | Primaria
                  
                   | 5,9%
                  
                   | 12,9%
                  
                   | +
                  7,0
                  
                   |  
                | I
                  grado
                  
                   | 7,0%
                  
                   | 21,0%
                  
                   | +
                  14,0
                  
                   |  
                | II
                  grado
                  
                   | 12,4%
                  
                   | 19,1%
                  
                   | +
                  6,7
                  
                   |  
                | personale
                  educativo
                  
                   | 13,5%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | -
                  0,8
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  | 
              
                | Aree
                  geografiche
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | nord
                  ovest
                  
                   | 10,7%
                  
                   | 19,7%
                  
                   | +
                  9,0
                  
                   |  
                | nord
                  est
                  
                   | 9,5%
                  
                   | 20,3%
                  
                   | +
                  10,8
                  
                   |  
                | Centro
                  
                   | 6,9%
                  
                   | 17,6%
                  
                   | +
                  10,7
                  
                   |  
                | Sud
                  
                   | 6,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Isole
                  
                   | 9,0%
                  
                   | 15,5%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  |  E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve essere reso
      più incisivo, lo
      sciopero  bianco
      consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
      teso ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per collassare. Per
      fare degli esempi nelle
      scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
      è parlato
      di nuove forme di lotta,
      come: 
      
      
       
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire,
          
          quando non si è in servizio
          con
          ore eccedenti, i colleghi assenti  
          rifiuto
          del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
          proprie.
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo
          in
          quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
          scuola.  
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
          la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
          scrivendo ai politici, ecc.  
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente
       motivato
      
      
      
      nell'ottica di
      
 un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
      
       CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Maggiore
          dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
          Recessione
          da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
          tutti
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 
          Eliminazione
          dalle GE di coloro che:
       
          non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
      Scuola privata o in altri impieghi
            o almeno differenziazione dei diritti. 
          
          hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
          
          pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti   sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra o di ruolo
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     |  | 
  
    |  | Revisione
      del 10-06 -2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. Per
      quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
 
 Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
 4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 
 
      La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.  Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
       Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, 
       il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.  Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.
 
        Ogni
      sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su
      845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
      tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
      didattiche (119.893).
          | Dieci
            anni di precariato nella scuola statale | Elaborazione Tuttoscuola su dati
            Miur 2008 |  
          | 
              
                | Settori
                  scolastici
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | Infanzia
                  
                   | 5,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  7,5
                  
                   |  
                | Primaria
                  
                   | 5,9%
                  
                   | 12,9%
                  
                   | +
                  7,0
                  
                   |  
                | I
                  grado
                  
                   | 7,0%
                  
                   | 21,0%
                  
                   | +
                  14,0
                  
                   |  
                | II
                  grado
                  
                   | 12,4%
                  
                   | 19,1%
                  
                   | +
                  6,7
                  
                   |  
                | personale
                  educativo
                  
                   | 13,5%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | -
                  0,8
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  | 
              
                | Aree
                  geografiche
                  
                   | 1998/99
                  
                   | 2007/08
                  
                   | differenza
                  
                   |  
                | nord
                  ovest
                  
                   | 10,7%
                  
                   | 19,7%
                  
                   | +
                  9,0
                  
                   |  
                | nord
                  est
                  
                   | 9,5%
                  
                   | 20,3%
                  
                   | +
                  10,8
                  
                   |  
                | Centro
                  
                   | 6,9%
                  
                   | 17,6%
                  
                   | +
                  10,7
                  
                   |  
                | Sud
                  
                   | 6,2%
                  
                   | 12,7%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Isole
                  
                   | 9,0%
                  
                   | 15,5%
                  
                   | +
                  6,5
                  
                   |  
                | Totale
                  
                   | 8,2%
                  
                   | 16,8%
                  
                   | +
                  8,6
                  
                   |  
                |  |  |  E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve essere reso
      più incisivo, lo
      sciopero  bianco
      consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
      teso ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per collassare. Per
      fare degli esempi nelle
      scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
      è parlato
      di nuove forme di lotta,
      come:  
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire,
          
          quando non si è in servizio
          con
          ore eccedenti, i colleghi assenti  
          rifiuto
          del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
          proprie.
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo
          in
          quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
          scuola.  
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
          la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
          scrivendo ai politici, ecc.  
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente
       motivato
      
      
      
      nell'ottica di
      
 un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
      
       CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Maggiore
          dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
          Recessione
          da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
          tutti
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 
          Eliminazione
          dalle GE di coloro che:
       
          non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
      Scuola privata o in altri impieghi
            o almeno differenziazione dei diritti. 
          
          hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
          
          pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti   sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra o di ruolo
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     |  | 
  
    |  | Revisione
      del  02-06 -2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. Per
      quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
 
 Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
 4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 
 
      La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.  Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
       Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, 
       il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.  Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.
  E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve essere reso
      più incisivo, lo
      sciopero  bianco
      consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per collassare. Per
      fare degli esempi nelle
      scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
      è parlato
      di nuove forme di lotta,
      come:  
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire,
          quando non si è in servizio
          con
          ore eccedenti, i colleghi assenti 
          rifiuto
          del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
          proprie.
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo in
          quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
          scuola. 
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
          la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
          scrivendo ai politici, ecc. 
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente motivato
      
      
      nell'ottica di
      
 un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
      
       CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 
          Eliminazione
          dalle GE di coloro che:
       
          non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
      Scuola privata o in altri impieghi
            o almeno differenziazione dei diritti. 
          
          hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
          
          pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti   sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra o di ruolo
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     |  | 
  
    |  | Revisione
      del 01-06 -2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. Per
      quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
 
 Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
 4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 
 
      La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.  Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
       Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, 
       il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.
 E'
      ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
      tantum o
      peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata.
      Senza
      dimenticare che
      lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
      deve
      essere
      reso
      più incisivo,
      nuove forme di lotta tese ad
      evidenziare le carenze di organico e le carenze
      strutturali del
      sistema. In altre parole
      occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
      senza nessuna collaborazione o forme
      di volontariato, finisca per
      collassare. Per
      fare degli esempi
      nelle
      scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
      è parlato
      di nuove forme di lotta,
      come:  
        
          rifiuto
          del personale tutto, precario e non, di sostituire, con
          ore pagate a parte, i colleghi assenti 
          rifiuto
          del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          rifiuto
          degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          sospensione
          delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 
          sospensione
          dell'adozione dei libri di testo. 
          vigilanza
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
          organizzazione
          di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenimento
          dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo 
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente motivato
      nell'ottica di un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
        CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 
          Eliminazione
          dalle GE di coloro che:
       
          non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
      Scuola privata o in altri impieghi
            o almeno differenziazione dei diritti. 
          
          hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
          
          pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti   sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra o di ruolo
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     |  | 
  
    |  | Revisione
      del 31-05 -2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. Per
      quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
 
 Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
 4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 
 
      La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.  Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
       Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale   provinciale
      parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, 
       il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati. Nel
      periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
      determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
      passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
      cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato
      registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
      però,  gli studenti aumentavano.
 E'
      ovvio che un simile trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
      sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero,
      usato con parsimonia, si è rivelato un'arma spuntata. Lo sciopero,
      tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
      economicamente il datore di
      lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
      l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
      Occorre quindi affiancare a questo strumento nuove forme di lotta tese ad
      evidenziare le carenze di organico e quelle strutturali. In altre parole
      occorre dimostrare inequivocabilmente come l'irrigidimento del sistema,
      senza nessuna collaborazione o volontariato, finisca per farlo collassare.   Per
      fare solo degli esempi
      occorrerebbe: 
        
          che
          il personale tutto, precario e non, si rifiutasse di sostituire, con
          ore pagate a parte, i colleghi assenti 
          che
          il personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da
          inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
          Patentino, ecc.). 
          che
          gli insegnanti di sostegno non si prestassero ad attività diverse da
          quelle per cui sono nominati
          organizzare
          presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
          visibilità. 
          mantenere
          viva l'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
          sull'informazione, rispondendo colpo su colpo. 
          sospendere
          le gite, i viaggi di istruzione, gli scambi culturali. 
          sospendere
          l'adozione dei libri di testo. 
          vigilare
          affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
          denunciando inevitabili infrazioni. 
          
          chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
          di studenti.
          chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
          adeguati. 
 
      
      Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili. Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente motivato
      nell'ottica di un
       rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
        CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 
          Eliminazione
          dalle GE di coloro che:
       
          non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
      Scuola privata o in altri impieghi  
          
          hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
          
          pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti   sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra o di ruolo
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      Revisione
      del 27-05-2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI
      
       |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 In
      sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
      aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
      finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
      insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
      influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
      oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
      intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
      difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
      di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
      successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
      risultare socialmente marginale.  La
      richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
      della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
      educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
      formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
      diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
      privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
      facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
      formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
      ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
      nostri ragazzi.  Se
      nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
      esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
      selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
      pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
      non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
      deve continuare a dare. Per
      quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
       
      Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 Ma chi
      sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
      alle Graduatorie permanenti e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
      Pubblica si può rispondere certamente no.
 
 Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
      prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
      iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
      Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
      fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
      Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
      graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
      molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
      Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
      affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
      stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
      perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
      fermamente crede.
 
 Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
      veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
      lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
      profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
      esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
      indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
      Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
      precari del Comune.
 
 Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
      precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
      1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
      per il 50% dei posti disponibili?
 
 Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
      del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
      accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
      problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
      tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
      incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
      più stabile.
 
 Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
      a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
      di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
      rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
      a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
      incarico da parte dell’Amministrazione.
 
 Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
      Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
 
 1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
      nella Scuola privata o in altri impieghi
 2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
 3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
 4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra
 
      
      si otterrebbe la dimensione vera del problema.
 Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
      personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
      effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
      assunzioni anche se consistente del tipo  Todos caballeros! perché tutti,
      cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
 
 
      La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.  Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
       Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, 
       il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza
   
 
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato.   La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) 
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati.
 Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
 Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente motivato
      nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
        CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 
          Eliminazione
          dalle GE di coloro che:
          non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
      Scuola privata o in altri impieghi
 
          hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
      l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
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        pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
        
        
      
        sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
      passaggio di cattedra o di ruolo
      
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      Revisione
      
      del 26-05-2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI
      
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    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Oltre
      alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola 
 lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nella
      perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
      precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
 Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 
 La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
      alcuni casi
      comporta  una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata spesso
      non possiede 
       lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni e
      non può sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza. Questi
      docenti sono
      altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
      stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
      lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
 Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti su  
      questo
      tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,  
       stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza 
  
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati.
 Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
 Dunque
      per
      quanto sopra dettagliatamente motivato
      nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 
      
        CHIEDIAMO 
        
          Il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  
          Fine
          dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
          ad essa di maggiori fondi.
          Cessazione
          dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
          degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
          dell'emergenza educativa in atto
          Maggiore
          attenzione alla continuità didattica 
          Misure
          contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
          di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.  Torna
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      Revisione
      
      del 25-05-2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI
      
       |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti  causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 
      
      Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
 Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 
 La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola.
       Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. 
      Lo
      stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
      di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che
      comporta necessariamente una modificazione qualitativa della propria
      prestazione professionale. Il
      precario di lunga durata
      non può
      possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare 
      in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.
 Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di  organico
      funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
      ancora più necessaria nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,   
      stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza 
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
      
      Dati
      pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
      mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
      riottenere una nomina di anno in anno.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
      alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
      del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
      di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
      davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
      ottenere dei risultati.
 Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
 
      Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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      PER UNA SCUOLA DI TUTTI
      
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    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti  causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 
      
      Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
 Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 
 La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. Questi non può
      possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabile
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare 
      in
      un'altra sede,
      il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
      dell'impotenza.
 
      
      Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
      funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica  
      ancora più necessaria nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
      sostegno.
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,  
      stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dell'utenza 
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
 Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
 
 Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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      Revisione
      del 23-05-2008MANIFESTO
      PER UNA SCUOLA DI TUTTI |  | 
  
    |  |   Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile.   Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti  causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 
      Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
 Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 
 La
      discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
      del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da
      approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
      lunga durata e la qualità della sua prestazione. Questi non può
      possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
      Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabilie
      per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare
      da un'altra parte.
 
      Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
      funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
      una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
      di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
      coprire i vuoti nell’organico di fatto.
      In un sistema di
      questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
      possibile passaggio da
      una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
      sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica. 
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,  
      stabilito
      numericamente,
      che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari  dell'utenza 
      e dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
      evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello 
      Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige
      dagli altri datori di lavoro
      privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
      determinato.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
 Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
 
 Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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 Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
      responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
      enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
      e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
 
 Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
      dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
      della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
      insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
      educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
      L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
      nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
      nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
      dei discenti.
 
 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
      indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
      OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
      anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
      percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
      considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
      materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
 
 Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una
      scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
      international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
      valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
      il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
      diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
      punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
      a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
      degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
      statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
      OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
 Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
      25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
 
 Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
      pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
      rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
      del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
 
 Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
      casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
      indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
      sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
      investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
      dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
      Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
 
 Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
      tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
      finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
      che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
      diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
      lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
      privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
      miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
 
 I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
      farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
      europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
      ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
      inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
      studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
      tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
      comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
      alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
      abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
      taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
      dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
      laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
      dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
      scolastica  italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
      Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
 
 Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
      geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
      dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
      come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
      all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
      geografica di paesi come Belgio e Olanda.
 
 Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
      nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
      dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
      disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
 
 Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
      per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
      studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
      definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
      singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
      dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
      risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
      attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
      organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
 
 Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
      difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
      Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
      necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
      quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
 
 Per superare questo problema occorre riflettere sull'istituto del
      reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
      funzionale parificabile dunque all'organico di fatto. In un sistema di
      questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
      garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
      la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
      anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
      fino al momento di passare all'organico di diritto stabile.
 
 Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari che
      nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
      e come tale dovrà essere retribuita, il docente precario non dovrà più
      rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
      per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
      un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
      di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
      di fatto i diritti elementari dei lavoratori più deboli.
 
 Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
      carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
      mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
      è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
      si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
      a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
      dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.
 
 Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
      protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
      mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
      ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
      elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
      stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
      lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
      tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
      proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
 Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
      per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
 
 Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
      associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
      media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
      dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
      dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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