Sara Stoppino

La filosofia e i totalitarismi

Per lo stato assoluto: la teoria dello stato di T. Hobbes.


Thomas Hobbes (ritratto)

Thomas Hobbes nacque a Malmesbury in Inghilterra nel 1588. La madre partorì colta dal terrore suscitato dalla notizia dell'arrivo dell'Invincibile Armata; nella propria autobiografia, egli afferma che la madre, insieme a lui aveva partorito come gemella della paura. Questo fatto costituisce uno spiraglio della sua psiche: la sua teorizzazione all'assolutismo ha radici soprattutto nel terrore delle guerre che hanno insanguinato la sua epoca. Dopo aver compiuto gli studi superiori a Oxford, nel 1608 è costretto ad accettare di fare da precettore al conte William Cavendish, a causa delle sue condizioni economiche non agiate. Grazie a questo impiego ha molti contatti con l'ambiente culturale Europeo in particolare quello Francese e Inglese. A contatto con gli uomini colti incontrati in Europa si accorge di quanto fosse antiquata la cultura che aveva assorbito nei suoi primi anni di studi. Ritornato in patria ristudia i classici per trarne un più profondo insegnamento. Nel 1628 lasciata la casa dei Cavendish, dopo la morte del suo allievo, pubblica la traduzione della Guerra del Peloponneso dello storiografo greco Tucidide. Nell'anno seguente, 1629, torna a fare il precettore in un' altra cospicua famiglia Inglese, i Clifton. Subito dopo ritorna come precettore del figlio del suo defunto discepolo nella casa dei Cavendish. Ha la possibilità di frequentare i migliori scienziati Inglesi del periodo. Nel 1634 compie un viaggio di tre anni nel continente, durante il quale incontra molte figure illustri come Galilei. A Parigi acquista molti libri introvabili in Inghilterra e matura convinzioni scientifiche: comincia a pensare di poter ricavare, seguendo un procedimento matematico rigoroso, una fisica, un'etica ed una teoria politica. Nel 1642 pubblica il De Cive ribadendo le sue tesi politiche. Per l'evolversi del conflitto tra monarchia e parlamento Hobbes decide di trasferirsi a Parigi. A Parigi intanto riceve l'incarico di insegnare matematica al futuro re Carlo II d'Inghilterra, anche lui in esilio a Parigi a causa dei poteri dittatoriali che aveva assunto Cromwell. Con la restaurazione degli Stuart, Hobbes ottiene una pensione dal re Carlo II, e può così dedicarsi completamente ai suoi studi. Nel 1651 ritorna in patria e pubblica il suo capolavoro, il Leviatano. Si impegna a fondo in una polemica contro il vescovo Bramhall difendendo le sue tesi a favore della necessità e del determinismo operanti in ogni situazione, naturale o umana che sia, contro il principio del libero arbitrio. Gli ultimi anni della sua vita sono caratterizzati da una serie di polemiche contro quanti lo accusavano di ateismo, di eresia e soprattutto di essere negatore della libertà umana. Scrive ancora una serie di opere tra cui Behemot, che lascia inedito, e le traduzioni dal greco all'inglese dell'Iliade e dell'Odissea.
Muore il 4 dicembre del 1679.


IL CONTESTO STORICO


La filosofia politica di Thomas Hobbes si è formata negli anni in cui una crisi politica, sociale, intellettuale investiva l'intera Europa: il culmine della guerra dei Trent'anni, le lotte per l'organizzazione della monarchia assolutistica in Francia, la crisi della monarchia inglese. Lo stato moderno è il punto di partenza della filosofia politica di T. Hobbes. Lo stato da lui analizzato e ricostruito razionalmente non trova corrispondenza in nessuna formazione storica reale. Questo non è altro che il riconoscimento delle novità rivoluzionarie nel suo pensiero politico, cioé l'avere condotto un'indagine per la prima volta pienamente rigorosa ai nuovi rapporti politici che si stavano affermando nell'Europa, soprattutto in Francia ed in Inghilterra. Hobbes prepara la via alla filosofia politica moderna, ne individua con sicurezza incomparabile i problemi centrali, proponendone insieme delle soluzioni che, restano essenziali per la nostra stessa cultura politica. l"Infame" Hobbes, il "mostro di Malmesbury" come lo vediamo spesso definito dai suoi contemporanei ha creato un sistema di pensiero politico in cui possiamo riconoscere elementi o premesse delle grandi proposte teoriche avanzate nei secoli successivi (il governo rappresentativo di Locke, la sovranità popolare di Rousseau), raccolti in una teoria rigorosa e originale. Alla base della sua filosofia politica troviamo un assunto fondamentale: la comunità degli uomini, la loro unità intellettuale, morale, sociale, non è naturalmente data. Non la gerarchia e l'ordine, ma la uguaglianza e il conflitto dominano fra loro. L'elaborazione di una nuova metodologia della conoscenza morale, anzi, di una nuova visione della razionalità pratica; la scissione introdotta fra natura umana e società, e l'identificazione di stato di natura e stato di guerra; la riduzione dell'unità del corpo politico al principio del comando, che crea la situazione di sicurezza della pace: questi grandi temi filosofici, sono i passaggi chiave di rifondazione della filosofia politica. La filosofia politica tradizionale ha finora fallito perché nessuno di coloro che hanno affrontato questa materia è ricorso ad un adeguato principio di ragionamento.


LA TEORIA POLITICA DI HOBBES


Molti filosofi, sotto certi aspetti anche Aristotele, hanno contrapposto alla certezza della matematica, l'incertezza dell'etica e della teoria politica; al contrario tutte le parti della filosofia potrebbero essere ugualmente certe se si fondassero su principi certi. Il metodo razionale usato per le scienze matematiche si può e si deve applicare alla scienza politica. Per Hobbes la ragione umana ha un utilizzo puramente strumentale, essa essenzialmente calcolo, poiché ciò di cui soltanto l'uomo può occuparsi sono corpi: corpi inanimati, animati o artificiali, ma pur sempre corpi.

"Per ragionamento, poi, intendo il calcolo." [...] "Ogni oggetto viene conosciuto nel modo migliore a partire dalle cose che le costituiscono. Come in un orologio o in un'altra macchina un poco complessa non si può sapere quale sia la funzione di ogni parte e di ogni ruota, se non la si scompone, e se esaminiamo separatamente la materia, la figura, il moto delle parti così nell'indagine sul diritto dello stato e sui doveri dei cittadini si deve, se non certo scomporre lo stato, considerarlo come scomposto, per intendere correttamente quale sia la natura umana, in quali cose sia adatta o inadatta a costruire lo stato, e come debbano accostarsi gli uomini che intendono riunirsi" (De corpore)

I processi cognitivi, quindi, non possono avere che un tipo di spiegazione meccanicistica. La libertà viene negata, poiché i moti e i nessi meccanici che ne conseguono sono rigorosamente necessari.

"La libertà di volere o non volere non è maggiore nell'uomo che negli altri esseri animati" (De corpore)

In questo orizzonte non può esservi spazio per il Bene o il Male in senso assoluto: il bene è relativo alla persona, al luogo, al tempo, alle circostanze. L'etica di Hobbes si configura come rigorosamente materialistica.
Ma in questo orizzonte, come fondare principi garanti del vivere comune e come spiegare l'esistenza storica concreta dello stato come istituzione?

"Fuori dallo Stato è il potere delle passioni, la guerra, la paura, la miseria, la bruttura, la solitudine, le barbarie, l'ignoranza, la crudeltà; nello stato il potere della ragione, la pace, la sicurezza, la ricchezza, lo splendore, la società, la raffinatezza, le scienze, la benevolenza" (De cive)

Lo stato naturale è la condizione in cui gli uomini sono postri dalla loro natura, "cioè dalle passioni insite in ogni essere vivente". In questa condizione tutti gli individui sono costretti a volere il male altrui sia per desiderio di superiorità e di dominio, la ricerca di gloria, innata in molti, che costringe anche in più moderati alla difesa; sia per la contesa che sorge a causa dei beni necessari alla vita che non si possono né dividere né consumare insieme; sia per la necessità di difendersi con l'attacco, con la prevenzione, da quanti mettono in pericolo la nostra vita e la nostra libertà. Lo stato naturale è dunque uno stato di guerra universale. L'uomo non è un animale politico, non ha in sé il principio della socievolezza, non agisce riferendosi ad un bene comune, da cui ciascun singolo possa trarre il bene proprio, ma, caduta l'idea di una simile società generale, di una natura spirituale comune a tutti gli uomini, viene meno anche ogni principio che consenta di concepire in modo positivo la vita dell'uomo fuori dallo Stato. Fuori dall Stato l'uomo rischia di perdere il bene primario, la vita, essendo in ogni istante esposto al pericolo di una morte violenta, inoltre non può nemmeno dedicarsi ad alcuna vita commerciale, industriale i cui frutti resterebbero sempre incerti, né può coltivare le arti, né tutto ciò che è confortevole: ogni uomo resta solo con il suo terrore di perdere in ogni istante la vita in modo violento.

LE LEGGI DI NATURA


Da questa condizione l'uomo esce facendo leva su due elementi basilari: il desiderio di evitare la guerra continua per avere salva la vita e la ragione che gli detta gli strumenti per giungere a tale scopo. Tali strumenti razionali sono le "leggi di natura" riassumibili nelle tre fondamentali:
  1. sforzarsi di cercare la pace
  2. rinunciare al diritto su tutto
  3. adempiere ai patti fatti
Le leggi naturali non sono tuttavia sufficienti a stabilire la pace e a garantire la sicurezza. Ad attuare tale fine è necessario che gli uomini escano dallo stato di natura ed istituiscano l'autorità dello Stato, riunendosi in un corpo politico. L'obbligo di obbedire alla legge civile si fonda su di un patto, con cui i sudditi si impegnano a rispettare la volontà del sovrano espressa in tale legge.
Lo Stato nasce attraverso un contratto tra gli uomini, i quali si impegnano reciprocamente a cedere il loro potere individuale ad un unico sovrano di tutti, non importa se questi sia una sola persona fisica od una assemblea deputata alla sovranità.
Il contratto politico consiste nell'alienazione del diritto naturale, cioè della libertà piena e assoluta di natura. L'unico limite imposto a tale alienazione è quello dell'irrenunciabilità del diritto di fare resistenza a chi ci vuole uccidere: se il fine dello Stato è quello della conservazione di sé, allora nelle circostanze in cui lo stato ci priva di quel fine cade ogni obbligo nei suoi confronti. Il patto sociale non è stretto dai sudditi con il sovrano, bensì dai sudditi fra di loro. Il sovrano resta fuori dal patto e resta il solo depositario delle rinunce dei diritti dei sudditi, e dunque unico a mantenere tutti gli originari diritti. Se anche il sovrano entrasse nel patto non si eliminerebbero le guerre civili, perché nascerebbero subito contrasti nella gestione del potere. Il potere del sovrano è indiviso e assoluto. E' questa la più radicale teorizzazione dello stato assolutistico, dedotta non dal diritto divino, ma dal patto sociale.


Paradossalmente lo Stato Assoluto si configura come condizione di possibilità dell'individualismo; vale a dire, è per salvaguardare le sue possibilità di vita e di sviluppo che l'individuo, insieme agli altri individui, permette la nascita di un potere che, pur apparentemente privandolo della libertà, viceversa la conserva e la esalta. Il sistema di Hobbes può essere letto come la prima teorizzazione del moderno stato borghese, in cui la realizzazione economica e sociale dell'individuo passa attraverso una parziale limitazione di alcune sue libertà "naturali".

Bibliografia:
  • Tito Magri a cura di, T. Hobbes, "De cive"

  • Tito Magri a cura di, T. Hobbes, "Levhiatan"

  • Nicola Abbagnano, Nicola Fornero, "Filosofi e filosofie nella storia", Ed.Paravia, Volume secondo

  • Giovanni Reale, Dario Antiseri, "Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi", Ed. La scuola, Volume secondo